Ridefinire il successo nel ministero

Quando mio marito ed io decidemmo di trasferirci con la nostra famiglia in Colorado per fondare la nostra chiesa, avvertivamo in modo chiaro la chiamata del Signore. Ma la mia mente era continuamente tormentata da una paura: E se dovessimo fallire? E se non riuscissimo a fare quello che sentiamo di essere stati chiamati a fare? E se non dovessimo avere successo?

 

Ho una conoscenza sufficiente della teologia per capire che se la nostra chiesa non ce l'avrebbe fatta, alla fine questa sarebbe stata la volontà di Dio. Eppure mi viene ancora facile guardare a Dio nei momenti di “successo” e guardare a me stessa nei momenti di “fallimento”. Tutti noi desideriamo avere successo nel ministero. Nessuno desidera essere il fondatore di una chiesa fallita. È vero che dobbiamo riconoscere il nostro peccato ed essere consapevoli delle nostre mancanze nell’amministrare i doni che Dio ci ha dato, ma dobbiamo anche comprendere una verità controculturale: nell’economia divina, il successo è misurato dall’obbedienza, non dai risultati.

 

È facile credere che l’esito favorevole di un'impresa determini il successo. Ha senso dal punto di vista del mondo. Ma il nostro Dio dà importanza a cose a cui il mondo non bada. Egli si diletta nella nostra fedeltà ordinaria, nei nostri atti di obbedienza più semplici. Egli misura il successo in base alla nostra obbedienza a lui, motivata dalla grazia.

 

Rincorrere la nostra idea di successo nella fondazione di chiese è estenuante, e non è quello che Dio vuole da noi. Egli desidera obbedienza—la nostra fedeltà ordinaria, quotidiana nelle piccole cose. Questo è il vero successo nel ministero.

Alti e bassi

Mio marito ed io abbiamo imparato ad aggrapparci alla verità che Dio si diletta nella nostra fedeltà quotidiana nell’altalena delle emozioni causate dal fondare una chiesa. Eravamo al settimo cielo quando nuove famiglie si presentavano alle nostre riunioni, alimentando la fiducia che ce l’avremmo veramente fatta. Ma i bassi ci portavano di nuovo con i piedi per terra quando quelle stesse famiglie non sono più tornate.

 

Abbiamo vissuto gli alti di vedere grandi amici partecipare alle nostre riunioni e i bassi di vedere amico dopo amico lasciare la chiesa. Altri alti quando mio marito si sentiva fiducioso della sua chiamata e altri bassi quando era incerto su come guidare un gruppo nascente. In mezzo a tutti questi colpi di frusta, dovevo continuamente ricordare a me stessa che la cosa più importante era essere fedeli a Dio, e che il successo consiste nell’essere presenti e non necessariamente nei risultati. Ho imparato che quando cerchiamo Dio con tutto il nostro cuore, il successo o il fallimento di qualunque cosa egli ci chiama a fare dipende da lui. Non dipende da noi.

Obbedienza, non performance

Durante i primi anni di vita della chiesa, facevo fatica a ricordare che siamo chiamati a obbedire, non a fare. Spesso era più facile fare qualcosa che obbedire a qualcuno. Come moglie di un fondatore di chiesa, consideravo un successo quando tutti gli ultimi dettagli erano stati sistemati e mio marito non doveva preoccuparsi di chi era di turno al nido o di chi doveva preparare la Cena del Signore. È facile credere che una sala piena di persone equivale a una domenica di successo. Anche adesso, più di dieci anni dopo, è ancora facile credere queste cose.

 

Ho dovuto combattere per ricordare che a volte il successo vuol dire prendermi cura dei miei figli e stare a casa con loro per settimane quando sono malati. A volte è dire “no” a qualche opportunità. Può significare ospitare qualcuno quando casa mia è un disastro e sono impreparata. Il successo può essere guidare uno studio biblico con tante donne o incontrarsi a tu per tu con un’altra donna.

 

Se crediamo veramente che il successo nel ministero si misura dalla fedeltà, tutto il nostro servizio va visto come un successo. La nostra fedeltà nel servire nelle cose più ordinarie porta Dio a darci ancora più opportunità di essere fedeli (Matteo 25:23).

Gloria nell’ordinario

Sono sicura che le persone che guardavano Gesù mentre soffriva una morte atroce sulla croce non videro alcun successo nel suo ministero. Eppure, la storia che conosciamo e proclamiamo ci dice molto di più. Ci parla di Colui che è stato fedele e senza colpa, e che ha compiuto tutto quello che noi non potevamo compiere.

 

Non possiamo vedere la totalità di ciò che Dio sta facendo in questo momento. Dobbiamo semplicemente essere presenti e servire fedelmente. Ricordiamo la madre di Timoteo, Eunice, e sua nonna, Loide (2 Timoteo 1:5). Queste due donne lo hanno cresciuto e influenzato. È improbabile che pensassero di fare qualcosa di straordinario a quel tempo. Erano solo presenti giorno dopo giorno per educare il giovane Timoteo nella pietà, e nella loro fedeltà ordinaria, lo prepararono per una vita di ministero. Lo equipaggiarono per farne uno dei discepoli più fidati di Paolo.

Non sappiamo quello che Dio sta facendo attraverso di noi mentre lo serviamo fedelmente nelle cose che egli ci ha chiamato a fare. Non possiamo sapere quale sarà il nostro impatto sulle generazioni future. Ma Dio lo sa. Egli sta facendo avanzare il suo regno sulla terra attraverso l’obbedienza ordinaria del suo popolo. Serviamolo dunque gioiosamente e fedelmente in tutte le opportunità che egli ci provvede e con tutta la forza che egli ci dà.


Kirsten Black e suo marito, Vince, si sono trasferiti a Fort Collins (Colorado) nel 2009 per fondare The Town Church. Kirsten si è laureata in counseling al Covenant Theological Seminary nel 2000 e attualmente è la Direttrice del supporto per le mogli di Acts 29. Kirsten e Vince sono gli orgogliosi genitori di cinque figli maschi.

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