Le app per la meditazione e il vangelo dell’auto-ottimizzazione

Stressata pensando alla lista delle cose da fare che mi metteva ansia, decisi di provare la popolare app di meditazione e mindfulness Calm, che è stata scaricata 12 milioni di volte per aiutare le persone ad eliminare lo stress. Clicco sull’icona “le meraviglie della natura” e presto mi ritrovo ad ammirare le vedute e i suoni di un lago zampillante, circondato da abeti e montagne innevate.

La meditazione via-app è una moda recente, resa popolare da gente come Lionel Messi, Novak Djokovic e Katy Perry, che la praticano per migliorare le loro performance. Tuttavia, la meditazione storicamente veniva praticata per scopi del tutto diversi. La pratica della meditazione era orientata all’incontro con il trascendente.

Com’è cambiato l’uso della meditazione nella nostra epoca secolare? E come mai, nonostante la sua facilità e popolarità, ci lascia impoveriti?

Un mondo particolarmente stressato

La proliferazione di app per la meditazione come Calm e Headspace è diventata un giro di affari da 14 miliardi di dollari perché esse rispondono a un problema sociale più grande: il lavoro ci stressa più che mai. La crescente pressione e il burnout che affrontiamo al lavoro sono il frutto di una nuova religione che il giornalista dell’Atlantic Derek Thompson ha definito “workism”, la dottrina secondo cui il lavoro “non è necessario solo per la produzione economica ma è anche l’elemento centrale dell’identità e dello scopo di vita di una persona, e l’idea secondo cui ogni politica per promuovere il benessere umano deve sempre spingere a lavorare di più”.

Quando il lavoro diventa il fulcro dell’esistenza, esso ci chiederà inevitabilmente di impegnarci di più e ci porterà all’esaurimento. Questa è la trappola in cui sono caduta quando ero sulla trentina. Fare in fretta-mangiare-dormire-ripetere divenne il mio pernicioso ritmo di vita mentre inseguivo lo standard secolare della perfezione a Londra. Le giornate sembravano una corsa per tagliare il traguardo, tanto che persino le pause pranzo erano vissute con un senso di colpa.

I tempi stanno cambiando. Oggi è comune trovare gruppi di dipendenti seduti in pose quasi zen che meditano sul pavimento della sala riunioni durante le pause pranzo. Non è più considerata una cosa bizzarra. “Specialmente nella Silicon Valley, la cosa sorprendente è se qualcuno non fa meditazione”, spiega il CEO di Calm Alex Tew, la cui app vantava 30.000 nuovi utenti al giorno nel 2018. Anche i datori di lavoro sono consapevoli del problema rappresentato dal workism e riconoscono che i dipendenti hanno bisogno di spazi per alleviare lo stress e meditare. Molti attestano i benefici della meditazione, tra cui Perry: “Medito prima di scrivere una canzone, prima di salire sul palco. Sento la mia mente aprirsi e riesco a pensare in modo più nitido”.

Il vangelo dell’auto-ottimizzazione

È degno di nota che l’app di meditazione più popolare, Calm, si ispira fortemente alla natura, immergendo gli utenti in un ecosistema pieno di bellezze naturali. La maestosità delle montagne e il suono delle onde che si infrangono eleva per un momento le nostre menti al di sopra del marasma quotidiano e ci ricorda che c’è altro nella vita oltre a quello che la nostra stretta clausura offre. C’è qualcosa nella vastità della creazione che rimpicciolisce il nostro io, suscita domande di natura spirituale e mette i problemi della vita quotidiana nella giusta prospettiva.

Ma queste esperienze vengono appiattite quando la meditazione è ridotta a un metodo per risolvere i problemi quotidiani, ad uno strumento efficiente per aiutare a trasformare ogni minuto della nostra giornata in valore economico. Imprenditori come Elon Musk (che in passato lavorava 120 ore a settimana) ci esortano a sacrificare la nostra vita sull’altare del lavoro, dal momento che “nessuno ha mai cambiato il mondo lavorando 40 ore a settimana”. Questa idea promuove una cultura in cui il burnout viene applaudito e il lavoro adorato. Ma dentro di noi sappiamo che questo sopprime ciò che è importante, riducendo il senso di meraviglia e la bellezza della natura a semplici ingranaggi per raggiungere finalità utilitaristiche.

Storicamente, la pratica della meditazione e del meravigliarsi per la bellezza del mondo portava le persone a guardare in alto, alla curiosità per le cose più elevate e ad un senso di trascendenza oltre sé stessi. Ma nell’epoca delle app di meditazione e delle tecniche di “mindfulness”, la contemplazione—come molte altre cose nella nostra struttura secolare dove tutto è appiattito e smorzato —viene ri-inquadrata in termini di immanenza e miglioramento della vita personale. Invece di allontanarci dall’orbita del sé verso fini più elevati, cose come la natura vengono trascinate nella nostra orbita per essere sfruttate per i nostri fini.

La meditazione è diventata una soluzione pratica del vangelo dell’auto-ottimizzazione. Simile a un’inquietante scena di un episodio di Black Mirror, veniamo potenziati dalla meditazione e ottimizzati come capitale umano per aumentare la nostra produttività netta. Le app di meditazione sono solo l’ennesimo strumento nella nostra cassetta degli attrezzi per far crescere una generazione di macchine per la produzione agili e competenti. Ma stanno ottenendo l’effetto opposto. Rinchiudendo anche la bellezza spaziosa e maestosa della natura nei confini claustrofobici della produttività personale, rafforziamo ulteriormente la nozione secondo cui il mondo gira intorno a noi e alla nostra utilità ottimizzata. Questo è un fardello davvero pesante, e non ci sta rendendo più felici.

Consapevolezza che guarda in alto

Una delle prime forme di mindfulness nella Bibbia fu praticata dal Re d’Israele Davide più di 3.000 anni fa. Quando egli considerava la creazione intorno a lui, senza la mediazione della tecnologia, contemplava le sue meraviglie. Davide non sapeva allora quello che la NASA ci dice ora sul nostro piccolo posto in un cosmo infinito: Siamo una dei 7,7 miliardi di persone che abitano la Terra. La terra e il sole fanno parte del sistema solare. Il nostro sole è una delle almeno 100 miliardi di stelle che compongono la Via Lattea. La nostra galassia è solo una delle centinaia di miliardi di galassie nell’universo.

Ma anche senza conoscere le dimensioni sbalorditive dell’universo che la scienza ha scoperto da allora, Davide sa che la natura è molto più grande di lui semplicemente osservandola con i propri sensi:

Quando io considero i tuoi cieli, opera delle tue dita, la luna e le stelle che tu hai disposte, che cos'è l'uomo perché tu lo ricordi? Il figlio dell'uomo perché te ne prenda cura? (Salmo 8:3–4)

Un Dio consapevole 

Non siamo fiocchi di neve irripetibili. Siamo letteralmente il denominatore numerico più piccolo possibile—minuscoli puntini alla minima potenza. Eppure il Creatore ci ha “coronati di gloria e onore” (Salmo 8:5). L’implicazione è questa: Non abbiamo un creatore impersonale, ma uno che è consapevole di noi nonostante la nostra piccolezza.

Quando separiamo la meditazione dal suo orientamento verso Dio e la usiamo solo per l’auto-ottimizzazione, limitiamo la nostra capacità di essere consapevoli del Dio che è consapevole di noi. Diventiamo insensibili alla bellezza intorno a noi che indica la Bellezza assoluta—Dio stesso. Rischiamo di ignorare i segni divini che Paolo descrive: “le sue qualità invisibili, la sua eterna potenza e divinità, si vedono chiaramente fin dalla creazione del mondo, essendo percepite per mezzo delle opere sue” (Romani 1:20).

Contrariamente a ciò che le app di meditazione e il loro suono rilassante di cascate possono suggerire, la natura non esiste per ottimizzare la produttività personale. Essa esiste per indicarci un Dio personale, senza il quale saremo sempre spiritualmente malnutriti.


Erik Raymond è il pastore senior della Redeemer Fellowship Church a Boston. Lui e sua moglie Christie hanno sei figli. Ha un blog, Ordinary Pastor. Puoi trovarlo su Twitter su @erikraymond.

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