Cinque miti sulla tua identità personale

Dove trovare te stesso

L’identità personale è un tema di grande interesse nei nostri giorni. Conoscere chi sei ed essere fedele a te stesso sono considerati i segni di una buona salute mentale e di benessere, e sono il segreto per vivere una vita autentica e veramente felice.                                                                                                   

Oggi molte persone credono che ci sia un unico posto dove guardare per trovare se stessi, ossia dentro di sé. L’identità personale è un progetto da perseguire da soli. Ogni forma di autorità esterna va rifiutata, e la ricerca dell’auto-espressione va lodata. Questa strategia per la formazione dell’identità, chiamata talvolta individualismo espressivo, è l’idea secondo la quale tu sei chi ti senti di essere dentro e che agire in conformità con questa identità ti permette di vivere una vita autentica.

Mito n°1: Il modo migliore per trovare te stesso è guardarti dentro.

In linea di principio, non c’è niente di male a guardarsi dentro. L’esplorazione personale e l’introspezione sono cose apprezzabili. Desiderare che le molte comunità emarginate dalla società, i cui segni identitari differiscono da quelli prevalenti, ricevano la dovuta dignità è lodevole, e l’autenticità come ideale morale è una cosa buona. 

Ma la strategia di guardare esclusivamente dentro di sé per trovare se stessi presenta tre difetti fatali. Essa genera un io fragile, facilmente destabilizzabile e privo di una conoscenza autentica e duratura di sé; non conduce a una vita felice, producendo troppo facilmente individui che si auto-ingannano, che sono auto-assorbiti ed egocentrici. Inoltre, si poggia su fondamenta sbagliate.

Per trovare te stesso ci sono tre altri posti dove guardare: (1) intorno ad altri; conosciamo noi stessi essendo conosciuti intimamente e personalmente da altri; (2) indietro e avanti alla storia della tua vita; e (3) in alto a Dio.

Il terzo è il più controverso. Tuttavia, guardare in alto, in un modo o nell’altro, è un bisogno umano insopprimibile. L’idea che gli esseri umani abbiano una persistente inclinazione ad adorare è certamente la visione biblica della natura umana. Dio ha dato ad ognuno di noi la consapevolezza che c’è qualcosa di più nella vita di quello che sperimentiamo sulla terra; Dio ha “messo nei loro cuori il pensiero dell’eternità” (Ecclesiaste 3:11). E come Rowan Williams afferma: “senza il trascendente ci ritroveremo incapaci, prima o poi, di dare un senso all’intera gamma dell’auto-consapevolezza umana”. 

Mito n°2: La Bibbia non ha nulla da dire sull’identità personale.

Dato che l’attenzione sull’identità personale è uno sviluppo relativamente recente, si potrebbe dedurre che la Bibbia, una raccolta di testi antichi, abbia poco da dire sull’argomento.                                                                       

Ad ogni modo, anche se nella Bibbia nessuna parola viene generalmente tradotta in italiano con “identità”, parecchie parole hanno un’ampia gamma di significati e includono la nozione dell’identità personale e del sé. In alcuni contesti, per esempio, parole solitamente tradotte con “anima” e “vita” possono essere rese con “identità”. Quando Gesù dice nel Sermone sul Monte: “la vita è più del nutrimento, e il corpo più del vestito” (Matteo 6:25), potremmo tradurre: “la tua identità è più del nutrimento e del vestito” indicando l’insistenza di Gesù sul ruolo limitato dei beni materiali nel definire una persona. Quando nel Salmo 19:7 si dice che “la legge del Signore ristora l’anima”, possiamo legittimamente tradurre: “La legge del Signore ristora la tua vera identità”, il tuo vero Sé. La Bibbia in effetti contiene l’ingiunzione ad avere un concetto sobrio di se stessi (Romani 12:3).

Mito n°3: Tu sei la tua etnia, il tuo genere o sessualità.

Molte persone oggi si definiscono in termini di determinati segni identitari. Oltre all’etnia, al genere o alla sessualità, spesso altri segni come la razza, la nazionalità, l’età, la cultura, la capacità fisica o mentale, l’occupazione, i possedimenti e lo stato civile sono fondamentali per l’autodefinizione. 

Tuttavia, la Bibbia giudica i segni identitari tradizionali come fondamenta inadeguate sulle quali costruire la propria identità personale. Secondo Galati 3:28, tu sei più della tua razza, etnia, nazionalità, cultura e genere, perché in Cristo Gesù “non c'è né Giudeo né Greco; non c'è né schiavo né libero; non c'è né maschio né femmina; perché voi tutti siete uno in Cristo Gesù”. E secondo 1 Corinzi 7:29-31, tu sei più del tuo stato civile, della tua occupazione e dei tuoi possedimenti, e c’è un senso in cui tu dovresti “vivere come se non fossi sposato, non avere relazioni con il mondo e non considerare tue le cose che possiedi”.

Anche se questi segni di identità sono essenziali per l’identità personale, essi non costituiscono l’intera storia. Tutti i segni identitari tradizionali sono importanti, ma nessuno di essi è fondamentale. 

Mito n°4: Tu appartieni a te stesso.

“Tu appartieni a te stesso” è simile alla dichiarazione solenne di un diritto umano; essere sottomessi a qualche autorità esterna è in pratica la definizione di oppressione. Tuttavia, per quanto riguarda il trovare se stessi, elevare l’autonomia personale a status ultimo è fuorviante. La Bibbia prende una direzione completamente diversa. Paolo scrive in 1 Corinzi 6:19 quella che appare una confutazione diretta dell’individualismo espressivo: “Non appartenete a voi stessi”. 

Persino in giorni come i nostri in cui si insiste sulla priorità e sui benefici dell’autonomia personale, ci sono alcuni contesti in cui appartenere a qualcun altro è tuttora visto in un’ottica positiva. Un bambino che si è perso al centro commerciale non si lamenta quando i suoi genitori si presentano e lo rivendicano come loro figlio. Allo stesso modo, benché si presti ad abusi, il vero amore romantico ha al proprio centro l’appartenenza reciproca. Un’infinità di canzoni d’amore, a partire dal Cantico dei Cantici, contengono ritornelli sulla falsariga di “il mio amico è mio, e io sono sua” (2:16; vedi anche 6:3).

In realtà, animali sociali quali siamo, niente ci dà più senso di valore e importanza che essere amati al punto da appartenere a un altro. Tutt’altro che angosciante o oppressivo, un tale abbraccio ci rassicura e ci rende liberi. L’amore è infatti il contesto della sbalorditiva affermazione di Paolo quando dice che tu non appartieni a te stesso. Le parole che seguono il rifiuto di Paolo dell’autonomia personale in 1 Corinzi 6:19-20 spiegano perché tu appartieni a un altro: “sei stato comprato a caro prezzo”. Tu appartieni a un altro perché sei stato amato oltre misura. Questo amore è stato espresso dal costo elevato della tua redenzione: “non con cose corruttibili, con argento o con oro, siete stati riscattati dal vostro vano modo di vivere … ma con il prezioso sangue di Cristo” (1 Pietro 1:18-19).

La croce di Cristo proclama che Dio ha dichiarato che tu sei suo; tu appartieni a lui. Ma l’arrenderti in questo modo non porta all’annullamento del tuo io né a un asservimento oppressivo. Nel perdere te stesso e nell’appartenere a colui che ti ama di un amore eterno, troverai il tuo vero io.

Mito n°5: La storia unica della tua vita ti definisce.

Raccontare la propria storia è al centro dell’individualismo espressivo. Potremmo persino affermare che il nostro tempo è caratterizzato da “un’incessante autobiografia”, termine coniato da C. S. Lewis che descrive in modo calzante come tutti sembrano raccontare febbrilmente la storia della loro vita sulle varie piattaforme dei social media. Oggi è possibile documentare la storia della propria vita con grande dettaglio e divulgarla in lungo e in largo ogni giorno. 

La tua storia è fondamentale per la tua identità personale, ma non è una storia individuale. Essendo animali sociali, le nostre sono storie condivise. È un errore pensare che le storie delle nostre vite siano semplicemente opera nostra e che si svolgano in modo isolato dagli altri. La metanarrativa, o grande storia, nella quale ognuno di noi vive è una combinazione di momenti significativi, obiettivi e aspettative di vita legate a storie che ci sono state trasmesse dalle nostre famiglie e che sono legate alle storie delle nostre nazioni, etnie, classi sociali e fedi religiose. 

Ci sono due grandi storie alle quali la grande maggioranza degli occidentali aderiscono oggi, e queste storie giocano un ruolo importante nel formare l’identità delle persone. Esse sono la storia del materialismo secolare e la storia della giustizia sociale. Entrambe sono alimentate dal movimento dell’individualismo espressivo. Come ogni storia che si rispetti, ciascuna di esse ha una trama di base e un contesto, punti di svolta chiave, temi centrali, personaggi tipo, conflitti da risolvere e un atteso punto culminante. Pur essendo comprensibilmente attraenti in diversi modi, entrambe sono piuttosto carenti. Mentre le storie delle vite vanno avanti, alla fine queste storie non soddisfano perché entrambe hanno una visione troncata della natura umana e non guardano in alto.

La storia del popolo di Dio, d’altra parte, è il supremo atto di accusa del cuore del messaggio dell’individualismo espressivo. Essa afferma che tu non sei in grado di definire te stesso. Hai bisogno di un intervento dall’esterno. È sia la storia più cupa che la più brillante che venga offerta, pessimista riguardo la natura umana ma permeata da una gloriosa speranza. Curiosamente, essa è basata sulla storia della vita di Gesù Cristo:

Tu moristi, e la tua identità è ora nascosta con Cristo in Dio. Quando Cristo, che è la storia della tua vita, sarà manifestato, allora anche tu sarai manifestato con lui in gloria (Colossesi 3:3-4; traduzione mia). 


Dan Steel è il pastore di Magdalen Road Church a Oxford, Inghilterra. Prima di ritornare nella sua città natale di Oxford, ha aiutato a fondare Grace Church Stirchley a Birmingham. Lui e sua moglie, Zoe, hanno quattro figli. Puoi connetterti con lui qui.

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