Mettere paletti non guarirà la codipendenza: Conversazione con Rosaria Butterfield

Posso confidarti tutto. Nessuno mi capisce come te.

Non so cosa farei senza di te.

Sono contenta che combattiamo con lo stesso peccato. Mi fa capire che non sono da sola.

Forse siamo familiari con qualcuna di queste affermazioni, ma quando esse caratterizzano il tenore delle nostre relazioni, ci troviamo davanti a un problema. La codipendenza nasce da un’epidemia, da una crisi che si è silenziosamente insinuata nelle nostre chiese. Rosaria Butterfield la chiama “la crisi della solitudine”.

Ho intervistato Rosaria Butterfield, autrice di “The Gospel Comes with a House Key” sul tema della codipendenza. Molti hanno risposto alla crescita della codipendenza incoraggiando le persone a mettere diversi paletti nei loro rapporti di amicizia, ma Rosaria crede che il problema (e la soluzione) sia a un livello più profondo. “Gli idoli servono a colmare un vuoto”, dice Rosaria. “Hanno origine perché le persone sono tragicamente e pericolosamente sole”. Questa crisi “non ha a che fare con i paletti”. I paletti continuano a farci accarezzare i nostri idoli e permettono a una “cultura dell’infanzia” di prosperare nelle nostre chiese. Ci spiega che dobbiamo “affrontare la crisi della solitudine” e colmare il vuoto andando oltre a un semplice rapporto a due.

Ho un’amicizia codipendente?

Secondo Rosaria, creiamo una relazione di codipendenza, ossia “facciamo di un amico un idolo”, quando: “(1) chiediamo che quella persona sia qualcosa di più di quello che dovrebbe essere, e (2) chiediamo a quella persona di amarci più di quanto dovrebbe, di considerarci una sorta di salvatore”. Un idolo nasce, avverte Rosaria, quando “non mediamo quella relazione attraverso Gesù Cristo”. Quando “desideriamo per una persona qualcosa che Dio non desidera per lei, o desideriamo che quella persona ci elevi in una posizione che appartiene solo a Dio”, abbiamo varcato il confine che separa l’amore fraterno da un’adorazione distorta.

Rosaria ci guida oltre i cambiamenti nella struttura delle nostre chiese e famiglie per individuare e sradicare le sottostanti visioni distorte di noi stessi e di Cristo. Per avere relazioni sane nella chiesa è necessario un cambio di mentalità in quattro ambiti principali: peccato, identità, discepolato e ravvedimento.

Amicizie costruite attorno al peccato

Tre problemi sulla nostra visione del peccato estendono la codipendenza a macchia d’olio: la nostra ignoranza sul nostro peccato, la percezione che il mondo ha del peccato, e la nostra mentalità del “peccato in comune”.

“Il peccato è predatore. Non credo che i cristiani riflettano seriamente su questo. Pensano: ‘Lo tengo sotto controllo”, osserva Rosaria. Ma dobbiamo riconoscere “le impronte di Adamo in noi”, e se non le riconosciamo, dobbiamo fare affidamento sui fratelli e sulle sorelle in Cristo affinché ci dicano dove dobbiamo stare in guardia contro la tentazione. E i sentimenti (che sono i “precursori delle nostre azioni”) non sono immuni alla tentazione. Spesso i sentimenti possono far nascere una relazione di codipendenza perché non li confrontiamo con la parola di Dio per filtrare la loro origine carnale.

Dobbiamo inoltre riconoscere che Satana soffia sulla fiamma della codipendenza per farla diventare potenzialmente un “risultato omosessuale dell’idolatria”. In un mondo carico di sensualità: “L’omosessualità ora è diventata persino iconografica della progressività”, rendendo le forme più addomesticate di codipendenza accettabili. Ma se siamo consapevoli di quanto l’omosessualità sia diventata una cosa normale nel mondo attuale, possiamo ricordare che il divieto della Bibbia nei suoi confronti non è lì per nuocerci o per ostacolarci, ma per proteggerci — è lì per il nostro bene e per la gloria di Dio.

E il peccato non dovrebbe tenere legati i credenti. Quel ruolo appartiene a Cristo. Rosaria avverte:

La maturità non vuol dire avere un gruppo di persone che si riuniscono insieme perché hanno una particolare impronta di Adamo in loro. Questa non è maturità. Questa è semmai anti-maturità. La maturità si ha quando si conoscono sufficientemente le proprie tendenze al peccato e quelle degli altri, in modo da essere i custodi di nostro fratello e di vigilare su di lui. Facciamo in modo che ci sia una sana distanza tra noi e loro. Non mettiamo le persone in condizione di fallire, per poi abbandonarle quando questo succede.

Quando suggeriamo che il peccato è la caratteristica che abbiamo in comune, è facile lasciarsi indurire “per la seduzione del peccato” (Ebrei 3:13) — ci pieghiamo alla mentalità del “tutti lo fanno”. Ma non dovremmo accontentarci del peccato comune. Ci rallegriamo invece nel nostro comune Salvatore. Dio ci chiama a esortarci a vicenda in Cristo (Ebrei 3:13). Serviamo il Signore insieme e affrontiamo le conversazioni difficili. Non ci sentiamo a nostro agio con il nostro peccato perché “tanto anche i nostri fratelli e sorelle lo fanno”. Ci esortiamo a vicenda, mediante la potenza dello Spirito, e mettiamo a morte il peccato. Insieme.

Identità in Cristo, non fra di noi

Mettiamo la nostra identità in qualcun altro all’infuori di Cristo, che sia nel nostro io o negli altri?

“Più siamo chiari sul fatto che la nostra relazione principale è quella col Signore, meno facilmente chiederemo ad altre persone di ritenerci il loro salvatore, o meno saremo tentati di considerarle il nostro salvatore”. Rosaria ci ricorda: “Dobbiamo tutti guardare a Gesù. Siamo uniti a Cristo”. La Bibbia ci insegna che siamo tutti figli di Dio mediante la fede, che siamo tutti uno in Cristo Gesù (Galati 3:27-28). Cristo vive in noi e le nostre vite sono una manifestazione di questa identità e realtà (Galati 2:20). Quando sostituiamo il Salvatore con mini-salvatori, abbiamo inconsapevolmente trascinato altri con noi in una crisi d’identità.

Dobbiamo stare attenti anche, avverte ancora Rosaria, a non usare le nostre identità come occasione per vivere in una falsa libertà. “Una delle cose più pericolose per un credente è prendere parte a qualcosa e ritenere che, solo perché sei un credente, sei cristocentrico in quello che stai facendo”. Dobbiamo stare attenti a camminare nella vera libertà cristiana, che Rosaria descrive come “la libertà di non peccare”. Infatti, “Cristo ci ha liberati perché fossimo liberi” (Galati 5:1), affinché vivessimo “come uomini liberi” (1 Pietro 2:16), camminando nella nostra identità di cristiani.

Il discepolato come una famiglia

Anche un concetto distorto del discepolato fa perpetuare la codipendenza. Rosaria è favorevole al discepolato continuo nella chiesa, ma ci incoraggia a comprenderne i veri scopi e parametri.

Il discepolato serve per “un compito specifico” incentrato sull’edificare la chiesa, “camminare nella forza e nella libertà nel Signore, essere liberi dagli idoli e dai peccati ricorrenti”. Lo scopo del discepolato non è “creare dipendenza, in modo che gli altri vivano all’ombra della nostra vita spirituale, ma aiutare le persone a camminare con le loro gambe”. Perciò noi “proclamiamo [Cristo], esortando ciascun uomo e ciascun uomo istruendo in ogni sapienza, affinché presentiamo ogni uomo perfetto [maturo] in Cristo” (Colossesi 1:28).

 Rosaria ci sfida a mettere in discussione le relazioni di discepolato a tu per tu, o quantomeno a instaurarle con prudenza, perché possono potenzialmente sostituire l’oggetto del nostro affetto e mettere in pericolo la nostra identità in Cristo. Dà un serio avvertimento per spiegarne il motivo. “Una relazione di discepolato può essere claustrofobica”, dice Rosaria. “Può dare l’impressione che io possa dire qualunque cosa a X, e solo a X. Questo genera il problema [della codipendenza].” La sua raccomandazione è piuttosto quella di ancorare il discepolato alle nostre devozioni in famiglia. A suo parere, o “usiamo le devozioni in famiglia per contraddistinguere la famiglia di Dio, per creare un’intimità sicura, per favorire delle relazioni santificate”, o la nostra chiesa dovrà “offrire molta consulenza pastorale sul lato opposto dell’idolatria”.

Le relazioni a tu per tu — sotto la vigilanza degli anziani e per un motivo specifico — non si traducono necessariamente in relazioni di codipendenza, tuttavia Rosaria suggerisce che “discepolare è una conseguenza naturale del modo in cui opera la famiglia cristiana”. La vita cristiana in famiglia è il centro vitale del discepolato:

Dobbiamo fare qualcosa per la cultura del discepolato. Quando qualcuno mi chiede: “Quante donne stai discepolando?” sai qual è la mia risposta? Zero. Io discepolo i miei figli, e a casa nostra ospitiamo diversi uomini e donne a tavola con noi la sera. E c’è un discepolato reciproco che va avanti. E da lì nascono occasioni per parlare perché c’è qualcosa che non va e qualcuno può aiutare in questo.

La Bibbia parla di relazioni in comunità— “Leggo Tito 2 nel contesto di una comunità. Vedo donne più mature e donne più giovani risolvere le cose insieme, non a tu per tu”. Cita anche Gesù con i suoi discepoli. “Ci sono momenti a tu per tu, ma anche in essi c’è una qualche ambientazione di gruppo”.

Abbiamo creato un problema nella chiesa enfatizzando il discepolato come un evento unico? Forse, ma crescendo nel nostro modo di essere la famiglia di Dio, la nostra capacità di discepolarci a vicenda crescerà. E come Rosaria fa giustamente notare, dovremmo pregare costantemente “che tutte le nostre amicizie siano santificate”.

Il ravvedimento è necessario?

I consigli di Rosaria offrono lo spunto a diverse domande per aiutarci a valutare lo stato di salute delle nostre relazioni e stabilire se sia necessario il ravvedimento:

  • Tutte le interazioni con i nostri amici sono relazioni a tu per tu?

  • Il nostro amico/a ha una comunità oltre a noi?

  • Il nostro amico/a lascia intendere che siamo gli unici a sapere la cosa X sul suo conto? Oppure fa commenti del tipo: “Sei l’unico/a con cui posso parlare o che mi capisce”?

  • Altre persone nella chiesa (leader inclusi) sono informate della nostra relazione di discepolato, soprattutto se stiamo discepolando persone che tendono nella direzione della codipendenza?

  • Quali sono le tue tentazioni? Sono simili a quelle del tuo amico/a?

  • L’adulazione è una costante nelle parole del tuo amico/a? Se è così, come reagisci? Ti lasci facilmente esaltare da parole di stima o dall’adulazione?

  • Siamo coscienti di un desiderio di essere visti dal nostro amico/a in un modo particolare in cui Dio non vuole che lui/lei ci veda?

 Una volta accertato che una relazione è diventata una codipendenza, Rosaria ci offre speranza: “Niente santifica di più un’amicizia del ravvedimento”. Ci “convertiamo dagl’idoli a Dio” (1 Tessalonicesi 1:9) — ci ravvediamo. Rosaria ci dice di chiedere perdono ai nostri amici, di confessare loro che abbiamo usato la nostra amicizia per “alimentare il nostro orgoglio”, e che “abbiamo cercato di renderci indispensabili per loro”, senza tenere conto del nostro Salvatore e del suo sangue. Il ravvedimento deve essere il primo passo. E poi, per la potenza dello Spirito, cambiamo.

Il vero rimedio

C’è qualcuno che ci conosce come nessun altro. C’è un modello senza il quale non possiamo vivere. C’è qualcuno che non ci lascia né ci abbandona mai. C’è qualcuno che ci apprezza al di là della nostra comprensione.

Se gli idoli colmano dei vuoti, come spiega Rosaria, allora riempiamo questi vuoti. Stabilire dei paletti non è la soluzione alla codipendenza. Cristo lo è. Mediante la sua potenza, se iniziamo a scavare nelle malattie nascoste delle identità malriposte e dei fraintendimenti sul peccato, sul discepolato e sul ravvedimento, estirperemo la crisi della solitudine dalle nostre chiese.


Monica Geyen è una moglie e una madre di quattro figli. Ha fatto l’avvocato e ha lavorato per InterVarsity, occupandosi del discepolato degli studenti di giurisprudenza a Minneapolis/Saint Paul. Ora scrive e parla su temi legati alla maternità e alla vita missionale.

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