Quando nessuno si converte a Cristo

Ci sono stagioni nei nostri ministeri quando il frutto spirituale non è evidente come vorremmo. Non è così evidente agli altri, e non è nemmeno così evidente a noi. Come Pastori, piantiamo, seminiamo e annaffiamo, ma in queste stagioni sembra che il nostro lavoro produca ben poco frutto. Sembra che non accada nulla. Alcuni possono stare un anno, due anni, diversi anni senza che riescano a vedere dei risultati dai loro sforzi. Evangelizziamo, predichiamo con passione, cerchiamo di stringere amicizie con non credenti. Eppure, ancora niente. E allora ci chiediamo: “Cosa c'è che non va in me? Dio, perché non ti servi di me?”. Tendiamo o a incolpare Dio o noi stessi. In entrambi i casi, stiamo dimostrando una mancanza di fiducia nel vangelo.

La verità è che o Gesù è il Signore della mèsse o non lo è. Che cosa crediamo veramente?

Una delle dottrine più preziose della fede cristiana è la dottrina della sovranità di Dio. E' una pietra angolare della tradizione Riformata. Eppure, molte volte le implicazioni della sua sovranità nella vita del pastore possono ferirci emotivamente. Feriscono perché vanno contro l’idea che il frutto spirituale sarà sempre evidente.

Quando vogliamo disperatamente vedere qualcosa con i nostri occhi, la tentazione è di seguire metodi discutibili per generare frutto e tirare fuori qualcosa. Dopotutto, per un gran numero di chiese evangeliche il successo è semplicemente in funzione di quante persone riesci a fare entrare in un auditorio, o di quante mani riesci a fare alzare facendo appello alle emozioni. Siamo quindi tentati a ricorrere ai metodi del mondo per ottenere ciò che desideriamo tanto: il successo. Tuttavia, più prendiamo seriamente il nostro ministero, più sappiamo che trucchi e manipolazione non sono modi per condurre persone a Cristo che onorano Dio. È necessaria una cosa molto più semplice: una proclamazione coerente e tenace del vangelo. Nulla di costruito. E questo può apparire rischioso, perché stai lasciando i risultati della tua predicazione e dei tuoi sforzi evangelistici nelle mani di Dio.

Pensiamo alla vita di Geremia, il profeta che visse negli ultimi anni del regno meridionale di Giuda mentre la nazione si stava sgretolando. Dio lo mandò per avvertire per l'ultima volta il popolo di Giuda prima di cacciarli dal paese. Dio avrebbe distrutto la nazione e avrebbe deportato il popolo nella pagana Babilonia come schiavi. Il compito di Geremia era di predicare e metterli in guardia del loro peccato e della loro idolatria. Ma qui sta il problema: nessuno lo ascoltò. Nessuno rispose. Nemmeno alle sue ferventi suppliche di obbedire a Dio. Geremia predicò per quarant'anni, e non vide nessun ripensamento da parte del popolo. Essi rimasero ostinati. Perfino i profeti prima di lui ebbero qualche successo, ma non Geremia. Probabilmente si sentiva come se parlasse a un muro.

Tutto questo ebbe delle forti ripercussioni su Geremia. È chiamato “il profeta piangente” (vedi Ger. 9:1) per almeno due motivi. Primo, nessuno lo ascoltò. Secondo, sapeva quello che stava per succedere. Pochi tra quanti gli erano vicini lo confortavano. Dio gli disse che non si sarebbe sposato e che non avrebbe avuto figli, e i suoi amici erano spariti dalla circolazione. Si sentiva solo anche mentre condivideva questo messaggio. Geremia portava sia il peso di dover predicare un messaggio scomodo sia il peso di vedere poco frutto mentre lo predicava.

Tutti noi come credenti, non solo come pastori, dobbiamo sapere che, proprio come i grandi profeti di un tempo, anche noi andiamo incontro a periodi in cui non vediamo frutto. Questo ci farà spesso dubitare della nostra chiamata. Può anche portare alcuni alla depressione. Ma dobbiamo trovare la nostra gioia nel Signore. In Geremia 15:19 vediamo che Geremia ristabilì la sua gioia nel mezzo del suo scoraggiamento.

Perché perdiamo la nostra gioia come pastori e leaders nel ministero? Sicuramente, molte volte è perché non stiamo vedendo frutto spirituale. Ma in altre occasioni è perché invidiamo il “successo” altrui. Questa è allora la domanda che dobbiamo farci: Gesù è sufficiente?

A un certo punto della fase di fondazione della chiesa, ero molto scoraggiato perché nessuno si convertiva a Cristo. La chiesa era in una situazione di stallo. Mi ritrovavo a investire più tempo ed energie che mai, ma con pochi risultati. Un pastore saggio, con più esperienza di me, mi si avvicinò e mi chiese: “Jay, Gesù è davvero sufficiente per te? Perché tutto questo affanno? Non hai fiducia in Lui?”

Forse ero interessato a mostrare il mio successo o stavo invidiando il successo altrui. Il decimo comandamento parla in modo chiaro a riguardo: “Non concupire” (Esodo 20:17). Il segreto per non desiderare il successo del ministero altrui è di trovare tutta la tua gioia solo in Gesù. Se egli è sufficiente per te personalmente, sai che non è il tuo ministero a darti valore. E’ Gesù a dartelo. Quando Gesù è sufficiente per te, sarai appagato in lui nei periodi difficili del ministero, e non ti farai abbattere dallo scoraggiamento. La tua anima non sarà abbattuta perché hai posto la tua speranza pienamente in Dio, perché sai che egli è il Signore della mèsse.

Riposa in questa verità. Lavora assiduamente per diffondere la sua rinomanza nella tua città e nelle nazioni. Attendi fiducioso i tempi di Dio, e la tua anima prospererà salute anche quando non c’è molto frutto visibile. Egli ha tutto sotto il suo controllo. Egli è il Signore della mèsse. Noi siamo solo i suoi ambasciatori.


Jay Bauman è Condirettore del Network Acts 29 Latin America e pastore della chiesa “Igreja do Redentor”. E’ anche il fondatore di Restore Brazil, una rete di fondazione di chiese in Brasile.

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