Quando nel fondare una chiesa ci si sente soli

Nota dell’editore: Questo articolo è stato pubblicato per la prima volta su 9Marks Journal.

Nell’ultimo decennio c’è stato un accresciuto interesse per la fondazione di chiese in aree urbane. Molti giovani si trasferiscono nelle grandi città con la visione di fondare una chiesa per la città. Vogliono andare a vivere negli stessi quartieri da dove molte chiese evangeliche sono fuggite nei decenni precedenti.  

Ricordo quando negli anni 90 lessi per la prima volta il libro di Jim Cymbala Vento nuovo, Fuoco nuovo, che descrive il rinnovamento della chiesa Brooklyn Tabernacle. Rimasi affascinato dallo sconosciuto mondo della New York degli anni 80 descritto nelle sue vicende. L’intento dell’autore non era però dare una visione per la città, ma si limitava a raccontare storie dal fronte.

Libri famosi sulle chiese di New York, come Vento Nuovo o La croce e il pugnale, non invocavano un rinnovato interesse a trasferirsi in città. Non incoraggiavano giovani pastori intrepidi a investire lì le loro vite. Narravano piuttosto storie insolite di una terra lontana che, nella migliore delle ipotesi, stimolavano viaggi missionari di gruppi giovanili.

E se per caso prendevi e traslocavi in città, molto probabilmente avresti ricevuto più avvertimenti sull’atmosfera sessualizzata e liberale della città che incoraggiamento sul possibile bene che il Signore avrebbe potuto compiere. “E i tuoi figli?” ti sentivi dire. “Vuoi che crescano in quell’ambiente?”

Le cose sono cambiate

Ma questo succedeva nel passato. Le cose ora sono cambiate. A dire il vero, io e mia moglie riceviamo tuttora avvertimenti di quel tipo e anche qualche occhiataccia, ma sono cose che non hanno segnato la mia esperienza. Ministeri sorti di recente giungono ora in città a frotte. Oggi è piuttosto comune che le chiese nei contesti urbani inseriscano addirittura la parola “città” nel loro nome. Molte chiese adesso per distinguersi adottano dichiarazioni sulla missione esplicitamente orientate alla città.

Questa rinnovata enfasi sulla fondazione di chiese in contesti urbani ha addirittura stancato alcuni evangelici, non perché credono che la città incarni il male (come hanno fatto precedenti generazioni) ma perché hanno scambiato questa enfasi per un’attenzione sulle “élite” a discapito delle comunità rurali e di periferia su cui invece è possibile sorvolare.

A New York c’è bisogno di fondare un migliaio di chiese nei prossimi decenni, e non sto esagerando.

Pur comprendendo questo timore, non lo condivido. A New York c’è bisogno di fondare un migliaio di chiese nei prossimi decenni, e non sto esagerando. Gli effetti della rinnovata attenzione sulla fondazione di chiese nelle città, specialmente a New York, si stanno appena iniziando a vedere. Tutti probabilmente conosciamo le meravigliose storie di chiese fondate che sono cresciute portando del frutto nella città. C’è bisogno però di più di qualche storia di successo di poche chiese. A Manhattan in questo momento solo dal 2 al 4 per cento della popolazione si dichiara evangelica o cristiana in senso tradizionale. Per avvicinarci in qualche modo all’8-10 per cento, non abbiamo solo bisogno di sentire le belle testimonianze di tre o quattro chiese che crescono a New York; ce ne servono 600.

La preoccupazione maggiore    

A preoccupare di più è casomai il vero motivo per cui molti pastori sono attirati dalla città. Alcuni criticano la visione “per la città” così popolare in questi giorni perché pensano possa significare “per l’élite culturale dei bianchi della città”. Condivido di più questo tipo di preoccupazione.

Subire il fascino della città non è la stessa cosa dell’amore biblico per la città, e non è in grado di sostenerti a lungo termine.

Ritengo però che il problema di fondo sia un altro. Chiamatela intuizione pastorale o sensazione spirituale, ma credo che molti di quelli che svolgono il ministero pastorale in posti come New York subiscono l’incanto della città. Dopotutto, servire le élite può voler dire “essere associati alle élite”. Servire gente che lavora a Broadway o per Google, Twitter, case di moda, o per il New York Times può significare essere associati a persone che lavorano a Broadway o per Google, Twitter, case di moda, o per il New York Times. Nessuno di noi lo ammetterebbe mai, tuttavia spesso siamo ignari dei desideri che ci spingono a fare quello che facciamo.

Una strana solitudine

Ai fondatori di chiese bisognerebbe invece dire quanto sia poco allettante, quanto sia avvilente, complicato, stancante e solitario nel lungo termine fondare, rivitalizzare e pascere una chiesa, specialmente in una città. Parlo più con persone senza fissa dimora che con le “élite culturali”. Passo più tempo a chiamare e aspettare paramedici per soccorrere gente priva di sensi sui gradini di casa che a tenere discorsi al quartier generale di Google.

Quello che bisognerebbe invece dire ai fondatori di chiese è quanto sia poco allettante, avvilente, complicato, stancante e solitario nel lungo termine fondare, rivitalizzare e pascere una chiesa, specialmente in una città. Parlo più con persone senza fissa dimora che con le “élite culturali”.

Il tuo ufficio, se puoi permettertene uno, è spesso improvvisato e scomodo. Grandi folle e mostre in musei dalle pareti bianche si trovano più che altro su Instagram e Pinterest.

Anche la provvisorietà è sconvolgente, tale da rendere difficile la “crescita della chiesa”, oltre all’ambiente già ostile. Qualche tempo fa un caro amico mi ha detto che quest’anno 75 persone hanno partecipato al corso per diventare membri della sua chiesa. Sembrava una notizia fantastica, perché avevamo pregato che la sua chiesa non fosse costretta a chiudere per mancanza di fondi. Eppure, a causa della natura transitoria della vita in città, il numero dei partecipanti al culto della domenica è rimasto lo stesso dell’anno scorso.

Questa provvisorietà significa per i fondatori di chiese o per chi vuole rivitalizzare una chiesa dover combattere spesso con una strana solitudine. La maggior parte degli amici che ti farai se ne andrà dopo pochi anni. Ero a cena con un pastore e sua moglie, che mi spiegarono che avevano perso tutti i loro amici più intimi negli ultimi 18 mesi. I pastori e le loro mogli devono costantemente ricominciare da capo le loro relazioni. Questo può essere molto stancante.

Personalmente, per la prima volta ho dovuto combattere contro la depressione e ho scoperto che si tratta di un’esperienza piuttosto comune tra i miei colleghi. Se conosci le dinamiche della depressione, sai che aggrava le già difficili sfide del ministero.

I fondatori di chiese o chi vuole rivitalizzare una chiesa combattono  spesso con una strana solitudine. La maggior parte degli amici che ti farai se ne andrà dopo pochi anni.

Le abitazioni sono costose. Un appartamento a Manhattan con una o due camere ha un affitto che oscilla dai 3.300 ai 4.000 dollari al mese, eppure la maggioranza dei pastori che conosco serve chiese che non pagano un salario sufficiente a coprire le spese necessarie alla loro sopravvivenza, a fare una vacanza ogni tanto e a risparmiare qualcosa. Molti pastori sono costretti a fare debiti personali. Il peso che questo ha sulle famiglie è elevato.

Prima di trasferirsi, molti pastori e le loro mogli non si rendono conto di quanto sono radicate le nostre aspettative di comfort, ma lo scoprono ben presto quando vanno a vivere in appartamenti con due camere di 55-65 metri quadri senza giardino, per non parlare del sostegno alla famiglia quasi inesistente. Di conseguenza, i pastori sono in genere di passaggio come chiunque altro a New York, e pastori di passaggio non sono proprio l’ideale per il rinnovamento della chiesa.

Subire il fascino della città non è la stessa cosa dell’amore biblico per la città, e non è in grado di sostenerti a lungo termine.

Calcola il costo. Poi vieni.

Non scrivo queste cose per scoraggiare i futuri pastori. Desidero tanto vedere una generazione di pastori che hanno calcolato il costo e ne sono consapevoli, le cui mogli sanno che cosa le aspetta e quali sacrifici dovranno fare.

Naturalmente questo non vale solo per New York.

La mia città e le vostre città hanno bisogno di pastori che hanno vissuto in prima persona il fallimento e che sanno come reagire al fallimento, affinché perseverino nonostante tutto. Abbiamo bisogno di pastori con una solida vita di preghiera alle spalle, e che siano consapevoli che potrebbero avere meno certezze di quelle che pensano di avere.

In molte chiese il successo significa avere un pastore che conosce per esperienza il rifiuto, le critiche e l’insuccesso la domenica, ma che nonostante questo si rialza il lunedì per pregare e preparare un altro sermone per la domenica successiva.

Abbiamo bisogno di pastori che sanno restare anonimi e che hanno fiducia in Dio.

Abbiamo bisogno di pastori che sanno restare anonimi e che hanno fiducia in Dio. Abbiamo bisogno di pastori che sanno come leggere bene i loro cuori e la Bibbia quanto il New York Times. Abbiamo bisogno di pastori che sanno imparare dai loro errori e che pregano per migliorare. Abbiamo bisogno di pastori che siano ospitali e che ascoltino i loro vicini. Abbiamo bisogno di pastori che pregano per la loro gente, che pregano per i loro vicini e che pregano per la venuta del regno.

Forse allora Dio ci benedirà e porterà il risveglio. I pastori la cui opera porta il frutto migliore sono uomini umili che pregano, si ravvedono, sono ammaestrabili e sono sicuri in Cristo. Abbiamo bisogno di molti più pastori così.


John Starke è pastore per la predicazione della chiesa Apostles Church di New York e co-autore di One God in Three Persons (Crossway, 2015). Puoi seguirlo su Twitter.

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