9 Segni di un sano complementarianismo biblico

Negli ambienti evangelici conservatori che frequento per la maggiore, non c’è quasi nessuna controversia su se la Bibbia permetta alle donne di essere nominate come pastori e anziani. Le persone con cui parlo e che ascolto sono convinti complementarianisti. Ossia, credono (crediamo) che Dio creò l’uomo e la donna uguali in valore e dignità ma con diversi ruoli nella casa e nella chiesa. Questo significa quantomeno che il ruolo di pastore deve essere occupato da uomini qualificati. Il cuore del complementarianismo non è oggetto di discussione.

Lo è il modo in cui ne parliamo, e anche il modo in cui lo mettiamo in pratica.

Il problema è che manchiamo di coraggio o che manchiamo di compassione? Siamo diventati troppo soft? Oppure siamo diventati troppo restrittivi? Il complementarianismo ha bisogno di essere ribattezzato con un nuovo nome, ha bisogno di una riforma, di un risveglio, o di essere recuperato?

Le discussioni possono essere taglienti, la retorica accesa. Eppure, il fatto che ci sia una discussione in corso all’interno del complementarianesimo è un segnale del relativo successo del movimento. Il fronte complementariano è abbastanza grande da contenere un gruppo piuttosto eterogeneo di persone e di personalità. La presenza di disaccordo e la necessità di pensare a definizioni non dovrebbe affatto sorprendere. Affilare le proprie posizioni non è un problema, a patto di non essere inutilmente taglienti l’uno con l’altro.

In cosa consiste dunque un sano complementarianismo? Di certo non ho l’ultima parola sul soggetto, ma qui elenco nove segni importanti.

1. Creazione, non accomodamenti. Le differenze tra uomo e donna hanno la loro radice nel disegno divino. Ciò è evidente da 1 Timoteo 2 e da Genesi 1-2. Il complementarianismo non è Paolo che si adatta alla cultura patriarcale del primo secolo, tanto meno noi che ci adattiamo alle attese delle nostre culture interne o esterne alla chiesa. Dio ha qualcosa da dire sulla mascolinità e sulla femminilità, e ciò che Dio ha da dire ha la radice nel suo piano.

2. Funzione, non solo ordinazione. Il primo punto potrebbe sembrare ovvio, una sorta di ABC del complementarianismo, ma è un fondamento importante per questo secondo segno. Se uomini e donne sono diversi secondo il piano della creazione, allora non possiamo limitarci a mettere in quarantena l’«ordinazione» e affermare che la mascolinità e la femminilità non hanno rilevanza sui ministeri della chiesa o sui ruoli nella chiesa fintanto che i pastori e gli anziani sono uomini. La questione non verte principalmente su titoli, etichette o sull’imposizione delle mani. La questione riguarda la funzione. Certamente, il complementarianismo può non essere d’accordo su dove fissare i paletti riguardo alle cellule, le scuole domenicali e l’adorazione pubblica, ma per iniziare a discutere di queste cose occorre ricordare che stiamo parlando dell’avanzamento del piano divino, non dell’adesione a un insieme di regole rigide e in apparenza arbitrarie.

3. Accolto calorosamente, non velocemente spuntato. C’è una differenza tra sostenere il complementarianismo a mo’ di atto per schiarirsi la gola intellettualmente —“Guarda, anch’io non credo che le donne dovrebbero essere pastori, ma…”— e sostenere gioiosamente la sua visione come buona, meravigliosa e la migliore.

4. Frutto di convinzione, non di sola tradizione. C’è anche molta differenza tra un complementarianismo ben ponderato basato sull’esegesi e sull’applicazione delle Scritture e un complementarianismo impacciato che è poco più che una posizione predefinita di un tradizionalismo culturale eccessivamente normativo.

5. Sensibile, non trionfalistico. Senza dubbio, qualche volta le truppe vanno radunate. Nella follia in campo sessuale dei nostri giorni, la chiamata al coraggio è certamente appropriata. Dobbiamo però capire che ogni genere di persone potrebbero ascoltarci quando parliamo di mascolinità e femminilità biblica. Alcuni di quelli che ascoltano sono esitanti, altri sono lupi, ma alcuni sono feriti e altri sono toccati più con cuori afflitti che con bandiere alzate. Stiamo attenti alla retorica che usa sempre il megafono. Facciamo i persuasori, non i pugili.

6. E’ una questione di principi, non personale. E’ nella natura umana: individualizziamo quando ascoltiamo e generalizziamo quando parliamo. Poiché abbiamo sempre combattuto contro i liberali, pensiamo che il tono battagliero sia l’unico modo di procedere. Oppure, per avere avuto un pessimo pastore o un fidanzato rozzo, sbattiamo sempre in faccia il complementarianismo in cui affermiamo di credere. Non misuriamo l’intero universo complementariano basandoci solo su alcune delle nostre esperienze più dolorose.

7. Afferma la Bibbia e la teologia, non sminuisce l’essere moglie e madre. Vogliamo che le donne delle nostre chiese leggano la Bibbia, studino la Bibbia, e aiutino altri a comprendere la Bibbia. Sono contento che le donne della mia chiesa (University Reformed Church) siano desiderose di approfondire, di ricevere buona teologia, e sfidare i loro cuori e le loro menti. Sì e Amen alle donne che studiano le Scritture. Andate avanti così e discutete su Deuteronomio e anche di pannolini. Ma non ridicolizziamo le donne perché parlano di pannolini! Per la maggior parte delle donne, in qualche fase della loro vita, e spesso per la maggior parte delle loro vite, la loro identità (dopo quella di essere figlie di Dio create a Sua immagine) sarà legata all’essere moglie e specialmente mamma. Approfondire lo studio della parola non significa allontanarsi da Tito 2.

8. Attento alle parole, non incurante. Tutti mettiamo delle etichette. E’ difficile parlare del nostro mondo infinitamente complicato senza utilizzarle. Ma se utilizziamo degli “ismi” con connotazione negativa, spieghiamo cosa intendiamo con essi. Non affibbiamo a caso agli altri le etichette di “femminista”, “liberale”, “patriarcale”, o “gerarchista”, salvo che la situazione lo richieda chiaramente, e spieghiamo bene ciò che intendiamo. Una chiesa che permette a una donna di leggere il testo del sermone (pratica che non incontra il mio favore) non è automaticamente allineata allo spirito del secolo, e una chiesa che permette solo agli uomini di insegnare corsi e guidare le cellule non è necessariamente tirannica e primitiva.

9. Impara andando contro la cultura anziché dentro la cultura. Le convinzioni che stanno al cuore del complementarianismo non penetreranno magicamente nei nostri figli o nelle nostre chiese. Il vento della cultura sta soffiando troppo forte contro di noi. La mascolinità e la femminilità biblica devono essere insegnate, non solo capite. Quando si tratta della bontà del piano di Dio per l’uomo e la donna, se non avanziamo contro le forze dello sport e dei media, della politica, degli affari e dell’intrattenimento, finiremo per andare alla deriva nella direzione sbagliata.

Ricordo anni fa di aver ascoltato un pastore descrivere la sua posizione sull’omosessualità come teologicamente conservatrice e socialmente progressista. Potevo capire dal modo in cui stava parlando che si stava facendo trasportare dal vento. Era tenuto stretto all’ortodossia da una corda sottile. Non fui dunque sorpreso quando qualche anno dopo egli annunciò che aveva cambiato posizione sull’omosessualità e che adesso non trova nulla di sbagliato nelle relazioni tra persone dello stesso sesso. Allo stesso modo, dobbiamo fare attenzione che il nostro complementarianismo sia profondo, meditato, radicato, biblico, e completamente a proprio agio quando è disprezzato, incompreso e contro-culturale. Essere fedeli non significa farsi quanti più nemici possibile, ma significa che per amore del bene, del vero e di ciò che è bello, accettiamo di buon grado di affrontare l’opposizione quando è impossibile da evitare.


Kevin DeYoung è il pastore senior della University Reformed Church (PCA) a East Lansing (Michigan), vicino all’Università del Michigan. Lui e sua moglie Trisha hanno sei bambini. Puoi seguirlo su Twitter.

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