Pratica la carità, ricerca la credibilità: Come comportarsi davanti alla professione di fede di un bambino

Immagina che tuo figlio di cinque anni stia giocando con alcuni amici del vicinato. Un bambino appartenente a una famiglia musulmana dice: “Io sono musulmano. Voi cosa siete?” Il figlio di una famiglia di Ebrei risponde prontamente: “Sono un Ebreo”. I due bambini si rivolgono poi a tuo figlio e gli chiedono: “E tu?”

Tuo figlio, un po’ perplesso, ti guarda e chiede: “Papà, che cosa dovrei dire?”

Non è una domanda difficile per i nostri fratelli e le nostre sorelle pedobattisti. Essi incoraggerebbero loro figlio a rispondere: “Sono un cristiano”. Dopotutto, secondo loro, anche i bambini non rigenerati battezzati fanno parte della comunità del nuovo patto, perciò il bambino di un credente dovrebbe considerarsi un cristiano a meno che non abbia rifiutato la fede in modo evidente.

Per i credobattisti, però, questa è una situazione un po’ più complicata. Tuo figlio, pronto a rivendicare l’identità cristiana dei suoi genitori, potrebbe essere un credente o non esserlo, ed è probabile che a questo punto della sua giovane vita non abbia ricevuto il segno dell’appartenenza alla comunità dei credenti del nuovo patto, ossia il battesimo.

Da una parte, non vuoi dargli un falso senso di certezza o un’idea sbagliata del vangelo. “Mamma e papà sono cristiani” lui pensa, “per cui lo sono anch’io”. Inoltre, se tu pensi che sia un credente, perché non lo battezzi subito?

Dall’altra, potresti dichiarare con voce ferma: “Figlio mio, tu non sei un credente. Non sei stato battezzato. Sei al di fuori del patto. Sei un pagano”. Questa risposta sarebbe non solo crudele, ma potrebbe anche essere falsa.

Rimanere fedeli alla dottrina del battesimo dei credenti richiede necessariamente questo genere di logica spietata? Come possiamo (Sam e Caleb) dare un senso all’identità religiosa dei nostri figli?

Dovremmo riconoscere che c’è qualcosa di fondamentalmente diverso nella loro situazione che li distingue da ogni altra persona che non è membro di chiesa e anche dal bambino figlio di atei che abita in fondo alla strada. In che modo dunque noi credobattisti evitiamo le trappole citate pur continuando a restare fedeli alle nostre convinzioni teologiche? Più precisamente, la nostra dottrina ecclesiale su chi appartiene alla comunità del patto ci dà modo di spiegare la particolare situazione dei figli dei credenti?

UNA SOLUZIONE

Prima di continuare, desideriamo brevemente sottolineare che non stiamo sostenendo che la tua chiesa o qualsiasi altra chiesa debba prevedere uno specifico “requisito dell’età” per i candidati al battesimo. Anche se queste valutazioni spettano ai pastori e alle congregazioni, vogliamo semplicemente esporre alcuni principi guida teologici. Sia dunque che la tua chiesa stabilisca un requisito di età sia che valuti la professione di fede di ciascun bambino “caso per caso”, il nostro scopo è solo quello di offrire alcuni principi teologici generali su come incoraggiare la professione di fede di un bambino e al contempo prendere sul serio il requisito di una professione di fede credibile prima del battesimo.

Due semplici “regole” teologiche sono essenziali per noi credobattisti quando pensiamo ai nostri figli e alla loro relazione con la chiesa: la regola della carità e la regola della credibilità. La prima regola postula che dobbiamo sempre ricevere la professione di fede caritatevolmente, utilizzando un’ermeneutica di fiducia anziché di sospetto. La seconda regola ci ricorda che storicamente le chiese Battiste come la nostra permettono il battesimo solo alle professioni di fede credibili — come fanno i nostri amici pedobattisti con la Cena del Signore.

La regola della carità

La Scrittura insegna ripetutamente che non tutti quelli che fanno professione di fede hanno sperimentato un’autentica conversione biblica (per es. Matteo 13:18–23, Atti 8:9–24, 1 Giovanni 2:19). Benché alla chiesa locale sia stato affidato il mandato di identificare e battezzare coloro la cui professione di fede e condotta di vita appaiono coerenti con il vangelo, talvolta capita che gli illusi o gli ipocriti finiscano lo stesso col diventarne membri—una realtà che Gesù stesso aveva previsto attribuendo alla chiesa l’autorità della disciplina. E’ per questo motivo che il Nuovo Testamento avverte così spesso contro il pericolo delle false conversioni o di rinnegare la fede. Gesù stesso ricordò ai suoi discepoli che persino alcuni che hanno compiuto opere potenti nel nome del Signore si riveleranno falsi credenti nell’ultimo giorno (Matteo 7:21–23).

Una chiesa può affrontare la realtà dell’apostasia in diversi modi. Per esempio, l’ipercalvinismo suggerisce di limitare il battesimo solo a coloro per i quali si può affermare con “assoluta certezza” che fanno parte degli eletti. Oltre a essere assurdamente impossibile, questa posizione fa del male a molti dei veri eletti di Dio.

Le chiese dovrebbero invece adottare una posizione più biblica, e farsi guidare dalla regola della carità. I cristiani dovrebbero essere sempre disposti a credere alla professione di fede di qualcuno, purché la sua vita non la contraddica in modo evidente. Se qualcuno afferma di avere creduto in Gesù per il perdono dei suoi peccati, dovremmo essere disposti a credergli.

Dovremmo estendere questa stessa carità ai nostri figli, ai figli di tutti! Pertanto, se nostro figlio professa di credere in Gesù, non dovremmo reagire mostrando scetticismo e poco entusiasmo. Dovemmo far festa con loro, e rallegrarci del fatto che stanno professando di credere in Gesù! Dovremmo discepolarli verso la maturità. Se vediamo evidenze della grazia nella loro vita, dovremmo farglielo notare, e se osserviamo aspetti delle loro vite non conformi al vangelo, dovremmo esortarli a essere fedeli.

Tutto questo significa che dovremmo prendere i nostri figli e portarli al battistero? Non proprio.

La regola della credibilità

Pur rallegrandoci con i nostri figli quando professano la fede in Gesù, dovremmo ugualmente esercitare il discernimento, facendo il possibile per proteggerli dalla falsa certezza. Quando a tavola ci dicono che amano Gesù, dovremmo assicurarci che abbiano una corretta comprensione del vangelo. Così come facciamo con i convertiti adulti, possiamo rallegrarci con i nostri figli anche mentre cerchiamo di discernere se la loro professione di fede è effettivamente credibile.

I cristiani possono discernere la credibilità di una professione di fede osservando se una persona mostra (come direbbe Jonathan Edwards) i segni distintivi dello Spirito di Dio. La vita di quella persona dimostra un cambiamento da una condotta empia a una condotta caratterizzata da santità e ravvedimento? Nel caso di bambini che crescono in una famiglia cristiana, non è sempre facile osservare questo tipo di cambiamento come lo è con gli adulti, il che significa che dovremmo aspettare che manifestino perseveranza nella santità e nel ravvedimento per accertare la credibilità della loro professione di fede.

In altre parole, è probabile che i nostri figli―proprio perché sono figli di credenti―professino la fede, che siano convertiti oppure no. Hanno trascorso tutte le loro vite in una “società” che è socialmente e culturalmente favorevole al Cristianesimo―una famiglia cristiana. A causa di questa realtà, ci vorrà più tempo per accertare la credibilità della loro professione di fede, perché è molto più probabile che ci dicano quello che noi vogliamo sentirci dire, o quello che loro pensano di dover dire—anche senza rendersene conto.

Per molti, rimandare il battesimo di una persona che si dichiara cristiana sembra una cosa sbagliata, ma in realtà lo facciamo continuamente.

Ci sono altre situazioni che richiedono altrettanta pazienza mentre aspettiamo l’evidenza della credibilità. Pensiamo alla situazione in cui un giovane inizia a frequentare la tua chiesa spinto dal suo interesse per una ragazza della congregazione, e poco tempo dopo fa una professione di fede. La sua professione di fede potrebbe essere genuina, ma potrebbe essere solo un tentativo di fare colpo sulla ragazza che sta corteggiando. Oppure pensiamo alla sfida che molte chiese stanno affrontando con i rifugiati, i quali usano il battesimo e la chiesa per richiedere asilo nell’occidente. Ci vorrà del tempo per discernere chi si battezza perché vuole essere fedele a Cristo da chi lo fa solo perché vuole ottenere asilo politico.

In tutti i casi, una chiesa dovrebbe usare prudenza, vagliando le loro parole per tentare di discernere la motivazione dietro alla professione di fede―in altre parole, la sua credibilità. Con questo non vogliamo dire che trattiamo coloro che hanno fatto professione di fede come dei sospettati—colpevoli fino a prova contraria—ma che dovremmo riconoscere che essi hanno validissimi motivi non-spirituali per professare la fede in Cristo. Per questo motivo, solo il tempo dirà se le loro confessioni di fede erano sincere.

Quanto tempo, ti chiedi? Dipende. Riteniamo che ogni figlio sarà un caso a sé, proprio come accade con ogni convertito adulto. Dobbiamo valutare ogni progresso nella sfera intellettuale ed emotiva di chi ha fatto una professione di fede, cercando di discernere se la sua fede è effettivamente personale o è solo un’imitazione di quella dei suoi genitori. Abbiamo bisogno di tempo per verificare se ha capito il costo del discepolato, anche quando incoraggiamo e celebriamo la sua professione.

Questo atteggiamento di cauta esultanza è ciò che significa essere prudenti come i serpenti e semplici come le colombe.

RITORNIAMO AL PARCO GIOCHI

Va bene, allora che cosa direi io (Sam) a mio figlio di cinque anni al parco giochi?

Probabilmente gli direi qualcosa del genere: “Figlio mio, se hai creduto in Gesù e gli hai chiesto di perdonare i tuoi peccati, se hai creduto che egli è risorto dai morti, e se affermi che egli è il re del mondo, allora dì loro che sei un cristiano”. Questo significa forse che gli offrirei la certezza della sua professione di fede battezzandolo subito e facendolo diventare membro della chiesa? No. Loderei Dio per la sua professione e la incoraggerei, e poi aspetterei per vedere il frutto che essa porta.


Articolo di Caleb GreggsenSam Emadi.

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