Lascia che sia Dio a insegnarti come adorarlo

Un’introduzione al principio regolatore del culto

Di Ligon Duncan

Il principio riformato noto come principio regolatore del culto afferma che solo Dio può stabilire il contenuto, la motivazione e il fine del culto. Egli ci insegna come pensare a lui e come avvicinarci a lui. Perciò, più ci allontaniamo dalle sue direttive, meno adoriamo in realtà.

Ogni elemento del culto comunitario deve quindi avere delle giustificazioni scritturali in forma di norme esplicite, prescrizioni implicite, principi biblici generali, comandamenti positivi, esempi, o disposizioni derivanti da conseguenze buone e necessarie.

Il beneficio principale del principio regolatore è che esso assicura che Dio (e non l’uomo) è l’autorità suprema che regola come il culto comunitario deve essere svolto. Tale principio garantisce che la Bibbia (la rivelazione speciale di Dio) e non le nostre opinioni, gusti, preferenze e teorie è il fattore primario che determina il modo in cui conduciamo il culto comunitario e ci avviciniamo ad esso.

Le obiezioni dell’evangelicalismo 

Vorrei suggerire che il motivo principale per cui molti evangelici fanno fatica ad accettare il principio regolatore è che essi non credono che Dio nella sua Parola prescriva come deve essere svolto il culto comunitario, o che essa ci dica ben poco a riguardo.

Per oltre un secolo, gli evangelici sono stati i più minimali tra tutti i protestanti in ciò che pensano che la Bibbia ci insegni sulla chiesa e nel loro giudizio sull’importanza relativa dell’ecclesiologia (la dottrina della chiesa). In generale, essi non credono che la Parola stabilisca con certezza il governo della chiesa. Non considerano la chiesa locale essenziale per il compimento del Grande Mandato o per la missione del discepolato cristiano. Essi guardano con sospetto l’ordine perché limita la libertà. Essi contrappongono il sacerdozio di tutti i credenti e l’autonomia della chiesa locale all’autorità didattica di norme stabilite dalla chiesa, alla teologia confessionale e alla testimonianza della comunione dei santi nel corso dei secoli.

Di conseguenza, dato che la dottrina del culto fa parte di ciò che la Bibbia insegna nell’ambito della dottrina della chiesa, essi sono prevenuti verso ogni insegnamento definitivo sullo svolgimento del culto comunitario. In parte, questo potrebbe essere il risultato di una comprensibile confusione sulla precisa natura della discontinuità tra il modo di adorare Dio nel vecchio patto e nel nuovo patto.

Gli evangelici, in generale, intendono l’insegnamento di Ebrei e del resto del Nuovo Testamento sulla venuta di Cristo come la fine dei tipi e delle ombre dell’elaborato culto cerimoniale del vecchio patto. Di conseguenza, anche se gli evangelici sanno che l’Antico Testamento contiene istruzioni su come Israele doveva svolgere il culto, essi tendono a pensare che dall’Antico Testamento si possano ricavare ben pochi principi duraturi validi anche per il culto cristiano, se non nessuno.

Alcuni pensano che l’enfasi neotestamentaria sul cuore, sull’attività dello Spirito Santo, e sul fatto che tutta la vita è adorazione rimpiazzi questi principi veterotestamentari. Altri pensano che il Nuovo Testamento abbia relativamente poco o nulla da dire sul “come” dell’adorazione comunitaria. Altri pensano addirittura che la categoria dell’adorazione comunitaria sparisca del tutto sotto il nuovo patto.

A Dio importa come lo adoriamo?

Ad ogni modo, nella Bibbia Dio ci mostra chiaramente che per lui è molto importante come lo adoriamo.

Un posto in cui la Bibbia ci insegna questo si trova nelle norme dettagliate per il culto nel tabernacolo che si trovano in Esodo 25-31 e 35–40, come pure in Levitico. In Esodo 25, per esempio, nel bel mezzo delle istruzioni divine per la costruzione del tabernacolo e dei suoi arredi, troviamo almeno tre aspetti del modo in cui il popolo di Dio deve adorare.

1. La motivazione dell’adorazione

Il culto di Israele doveva essere volontario. Era l’offerta di “ogni uomo che sarà disposto a farmela di cuore” (25:2) che contribuiva alla costruzione del tabernacolo (si noti il contrasto con l’episodio del vitello d’oro in 32:2). Se l’adorazione non procede dalla gratitudine per la grazia di Dio, se essa non è la risposta del cuore a chi è Dio e ciò che ha fatto, allora essa è vuota.

2. L’obiettivo dell’adorazione

La vera adorazione mira alla comunione spirituale con il Dio vivente. Dio ordina la costruzione del tabernacolo affinché egli possa “abitare in mezzo” al suo popolo (25:8). Questo è lo scopo di Dio nelle prescrizioni del vecchio patto per il culto, pertanto le persone dovevano tenere a mente questo obiettivo mentre costruivano il tabernacolo e vi si recavano. “Io sarò il vostro Dio e voi sarete il mio popolo” è il cuore e il fine del patto, come pure dell’adorazione. Se l’adorazione mira a qualcosa di meno di questo, non è affatto adorazione ma un vuoto sostituto.

3. Lo standard dell’adorazione

L’adorazione di Dio va accuratamente ordinata secondo le sue istruzioni. L’iniziativa divina è primaria nella progettazione del tabernacolo (ancora una volta in contrasto con l’episodio del vitello d’oro). Dio pretese che il tabernacolo e i suoi arredi fossero fatti “secondo il modello . . . che è stato mostrato [a Mosè] sul monte” (25:40). Il piano di Dio, non la creatività dell’uomo, doveva essere determinante nella costruzione del luogo in cui il suo popolo lo avrebbe incontrato (e anche in tutte le azioni che i sacerdoti dovevano compiere per svolgere tale culto).

Questo è essenzialmente ciò che i riformatori consideravano un principio fondamentale del culto cristiano (un approccio diventato noto come principio regolatore).

Enfasi biblica pervasiva 

Tuttavia, molti fini teologi evangelici obiettano a questo punto e dicono: “Questo principio era valido per il culto nel tabernacolo, ma non per il culto sotto il nuovo patto”. L’idea dietro a questa obiezione è che a causa della sua particolare rilevanza tipologica, il culto veterotestamentario nel tabernacolo era custodito da requisiti unici che Dio non ha applicato altrove nell’Antico o nel Nuovo Testamento all’adorazione comunitaria del suo popolo. Pertanto, essi dicono, anche se la nostra adorazione deve essere guidata da principi biblici (allo stesso modo in cui lo è il resto della vita), essa non è limitata a ciò che è permesso esplicitamente dalla Parola (come lo era il culto nel tabernacolo).

Ad ogni modo, l’intera Bibbia contraddice questa posizione (per es., Esodo 20:4-6; Deut. 4:15-19; 12:32; Matteo 4:9:10; 15:8.9; Atti 17;24-25; 1 Cor. 11:23-30; 14:1-40; Col. 2:16-23). La Bibbia sottolinea l’interesse che Dio ha per il “come” del culto non solo nelle norme cerimoniali ma anche nella legge morale, non solo nel Pentateuco ma anche nei Profeti, non solo nell’Antico Testamento ma anche nel Nuovo, non solo negli insegnamenti di Paolo ma anche in quelli di Gesù.

A Dio importa come lo adoriamo? Sì, a lui importa.


Ligon Duncan (MDiv, Covenant Theological Seminary; PhD, University of Edinburgh) è rettore e direttore generale del Reformed Theological Seminary, presidente del Council on Biblical Manhood and Womanhood, e consigliere di The Gospel Coalition. Ha scritto, è stato coautore, ha curato e ha contribuito a numerosi libri, tra cui Does Grace Grow Best in Winter?  È sposato con Anne e ha due figli.

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