I social media alimentano la sfiducia nelle Istituzioni, ma non possiamo vivere senza di esse.

I social media hanno aperto una nuova frontiera del potere sociale, culturale e psicologico decentralizzato che abbiamo appena iniziato a capire. Innumerevoli istituzioni governative e aziende sono state chiamate a rendere conto del loro operato da movimenti di opinione nati sui social media. Tuttavia, i social media permettono che le stesse voci che (giustamente) celebrano la caduta di istituzioni corrotte detengano un potere decisamente maggiore con un dovere di rendicontazione persino minore delle istituzioni che le hanno precedute. Questa dinamica ha trasformato la sfiducia nelle istituzioni in una virtù a tal punto che ora si ha il sospetto che le istituzioni siano corrotte per natura.

Brett McCracken, attingendo dal penetrante libro di Yuval Levin A Time to Build, ha descritto il recente cambiamento delle nostre aspettative sulle istituzioni da formazione a affermazione. L’attenzione alla dimensione socio-culturale rende necessaria una definizione del ruolo delle istituzioni quali organizzazioni comunitarie che formano il carattere e il comportamento virtuoso. Ma abbiamo bisogno anche di un “perché” teologico più profondo per distinguerle dalle loro contraffazioni rappresentate dai social media, e recuperare così l’apprezzamento del loro ruolo fondamentale che svolgono le istituzioni nel nostro essere pienamente umani.

Una teologia delle Istituzioni

Se Ken Myers ha ragione nel dire che “la cultura è ciò che facciamo del mondo”, allora le istituzioni sono ciò che Dio usa per renderci ciò che siamo. Esse portano l’immagine creativa di Dio nella pluralità. Nella loro forma migliore, le istituzioni sono come delle serre che servono a riparare, nutrire e far fiorire coloro che si trovano al loro interno per il bene del mondo esterno.

La torre di Babele (Genesi 11) è un’immagine delle istituzioni nella loro forma peggiore distorta dal peccato. Nel suo libro The Mission of God, Christopher Wright osserva che desiderando “acquistare fama” per se stessi e non “essere dispersi sulla faccia di tutta la terra”, gli uomini costruirono la torre in aperta ribellione al mandato culturale (Genesi 1:26).   In Genesi 10, l’umanità che si era moltiplicata dopo il diluvio deve fare i conti con la realtà di “uomini che sono intenti a raggiungere il cielo pur resistendo alla volontà di Dio per loro sulla terra” (pag. 197). Confondendo le loro lingue e disperdendoli, il giudizio di Dio li rimette sulla strada giusta per adempiere il mandato di Genesi 1:26, nonostante i loro sforzi a fare il contrario, prefigurando il modello veterotestamentario dell’esilio e del ritorno.

Babele è una condanna teologica senza mezzi termini di istituzioni totalmente compromesse dal puro interesse personale.

Babele ha pure implicazioni per i social media, sia negative sia positive. Da un lato, ogni piattaforma sociale è concepita per ottenere fama personale, e nelle questioni complesse la comunicazione sui social media porta più confusione che chiarezza. Tuttavia, Dio sembra servirsi dei social media anche come catalizzatore per “confondere e disperdere” le istituzioni moderne che si sono più ribellate al suo mandato culturale. Se l’impatto dei social media sia un solo un bene per le istituzioni è una questione che richiede uno sguardo molto più approfondito.

L’effetto dei social media sulle Istituzioni

I social media appiattiscono i legami sociali, allargandoli su scala globale. Abbinato ad un newsfeed algoritmicamente accurato, questo “effetto network” può essere indubbiamente redentivo per coloro che, per esempio, si sentono soli e isolati dopo aver sofferto di abuso in contesti istituzionali. Tuttavia, esso può anche lasciare la sottile impressione che subire un abuso da parte delle istituzioni sia solo una questione di tempo. La verità sta nel mezzo, ma nemmeno sapere questo a livello cognitivo impedisce alla nostra percezione di essere modellata di conseguenza.

L’abuso da parte delle istituzioni (sia reale sia percepito) è stato un importante catalizzatore che ha innescato l’attuale discussione “decostruzionista”. E con la pandemia che spesso ha limitato gli incontri in persona, questa discussione si è in gran parte trasferita in comunità incorporee sui social media. Questo rappresenta sia una sfida sia un'opportunità che costringe la chiesa (e soprattutto i pastori) a dimostrare la nostra credibilità. Ma se il Vangelo è davvero la speranza del mondo, e se la chiesa è realmente il luogo in cui la presenza di Cristo è sperimentata e manifestata, allora il nostro compito, benché arduo, è sia fattibile sia prezioso.

Perché abbiamo bisogno delle Istituzioni

Subito dopo la narrativa della torre di Babele, Dio chiama Abraamo fuori da Ur facendogli una promessa che stranamente riprende la motivazione di Babele, ma con una differenza importante: “Io farò di te una grande nazione, ti benedirò e renderò grande il tuo nome e tu sarai fonte di benedizione” (Genesi 12:2, enfasi aggiunta).

Dio moltiplica Abraamo, lo onora e lo benedice per creare un’istituzione distintamente pattale (Israele, e poi la chiesa), mediante la quale Dio manifesta al mondo la sua redenzione. Dio promette di formare e modellare coloro che si trovano all’interno di questa istituzione in modo che essi siano una “fonte di benedizione”.

Un “vivaio spirituale”, se vogliamo.

Se uno degli aspetti importanti del nostro disegno creazionale e responsabilità sancita dal patto è amministrare per il bene altrui, allora tutta l’opera interna dello Spirito Santo di fertilizzare, potare, innaffiare e coltivare è biblicamente intesa a portare anche alla moltiplicazione esterna.

Questo è uno dei motivi per cui i soprusi perpetrati dalle istituzioni sono così empi e malvagi. Esso riecheggia la bugia sovversiva del serpente secondo la quale noi uomini possiamo essere “come Dio”, sostituendo in modo funzionale la gloria di Dio e il bene del nostro prossimo con la nostra gloria e il nostro bene. Da Saul a Davide, da Giona a Giuda, la Scrittura rende chiaro che l’abuso è paradossalmente inaccettabile per Dio e tragicamente pervasivo in un mondo decaduto.

Nonostante le nostre migliori intenzioni, il modo in cui usiamo i social media (anche la nostra condanna dei soprusi da parte delle Istituzioni) riflette ben poco la responsabilità di amministrare che Dio ci ha affidato. Il più delle volte, usiamo i social media come se tutto fosse permesso, sfogando la nostra indignazione facendo terra bruciata attorno a noi per smantellare le istituzioni anziché riformarle. In fin dei conti, non possiamo vivere senza istituzioni anche se a volte non ci sembra di prosperare con esse. Saremo modellati in un modo o nell’altro.

Nutrire speranza nella chiesa

La promessa di Cristo che le porte dell’inferno non impediranno alla chiesa di avanzare (Matteo 16:18) è la stessa speranza che mette nella giusta prospettiva la minaccia di una tecnologia umana di 15 anni e ci rende anche liberi di ravvederci e riformarci laddove necessario.

Come nutriamo questa speranza? Come prepariamo i cristiani a prosperare nell’epoca dei social media?

1. Rispondi ai contenuti incorporei con una comunità incarnata.

Questa non è una chiamata a raddoppiare i programmi che attirano le persone nella chiesa, ma è una sfida a riscoprire ciò che la chiesa in modo unico offre: una comunità in carne ed ossa. Per esempio, Orlando Grace Church ha avviato dei “Gruppi di Formazione” utilizzando un curriculum che include un "inventario dei tempi e dei ritmi per quantificare e analizzare l’influenza dei media (social e non). Abbiamo un bisogno estremo di nuovi approcci al discepolato simili a questo che affrontano le false promesse della moderna Babele con il corpo di Cristo che è di gran lunga più appagante.

2. Traccia nuovi solchi nelle vecchie strade.

Più veniamo inondati da rapidi tocchi di novità che producono dopamina, più i nostri processi neurologici vengono riconfigurati di conseguenza. L’arte in via d’estinzione di leggere libri è stata soverchiata da diverse specie invasive (digitali) come Netflix, YouTube e TikTok. Quando si annega nei contenuti, trattare la Bibbia come “un libro qualunque” declassa ciò che dovrebbe trasformare il cuore a mera informazione. Riscoprire una dieta quotidiana di Parola e preghiera è essenziale per uscire da questa tempesta, ma la nostra gente non ha solo bisogno di sentircelo dire, ma deve anche sperimentarlo abitualmente.

3. Metti al primo posto la fedeltà alla chiesa locale rispetto all’affermazione globale.

In un periodo così usurante per i pastori, i social media possono diventare una fonte molto allettante di affermazione. Un pastore alle prese con una costante polarizzazione all’interno della sua chiesa può twittare sul tema scottante cristiano del giorno e accumulare abbastanza finta affermazione sotto forma di “mi piace” e retweet per sentirsi degno e apprezzato per qualche minuto. È fin troppo facile scambiare il fruttuoso lavoro opprimente del ministero in una chiesa locale per la vacuità di essere un pastore digitale di un gregge incorporeo. Pastore, non soccombere al richiamo dei “mi piace” sui social media, se non vuoi cedere la responsabilità della tua formazione spirituale (e dunque del tuo gregge) alla manipolazione delle istituzioni contraffatte.

Gesù è (ancora) la Via

Ogni coppia di fidanzati sa che sposerà una persona corruttibile e finita, ma il  matrimonio li porta inevitabilmente più vicini alla corruttibilità dell’altro. Essere consapevoli di questa dinamica in anticipo non evita lo shock del viverla di persona.

Allo stesso modo, i social media hanno inevitabilmente portato molti di noi più vicini alla fragilità delle istituzioni, e della Sposa di Cristo in modo specifico. Per quanto sconvolgente questa corruttibilità possa essere, Dio, che ama la chiesa, non è sorpreso né preoccupato da essa. Questa è veramente una buona notizia, e un richiamo potente che pure noi dobbiamo amare la sua istituzione corruttibile ma amata.

“Noi amiamo perché egli ci ha amati per primo” (1 Giovanni 4:19) comprende anche questo.


Brad Edwards è il fondatore e il pastore di The Table Church a Boulder County, Colorado, il conduttore del podcast Everything Just Changed, ed è una delle firme di Mere Orthodoxy. Puoi seguirlo su Twitter.

Chris Martin è un direttore dei contenuti di marketing per Moody Publishers e un consulente social media, marketing e comunicazioni. Scrive regolarmente nella sua newsletter, Terms of Service, ed è l’autore di Terms of Service: The Real Cost of Social Media (B&H, 2022). Chris vive fuori Nashville con sua moglie Susie, la loro figlia Magnolia e il loro cane, Rizzo.

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