Gesù non è spaventato dalla mia sofferenza e dalle mie domande

L’anno scorso mi è stato diagnosticato un grave disturbo ossessivo-compulsivo e una forte depressione. Ho compilato una scheda di valutazione dopo l’altra, e alle domande diagnostiche (“Hai mai ______?”), scrivevo “sì” accanto a quasi ogni sintomo.

Ho avuto quella che chiamavo una “depressione spirituale” circa cinque anni fa, provocata dallo stress post traumatico per una crisi epilettica che ha colpito nostra figlia Haven su un sentiero di montagna e per l’attesa del trasloco della nostra famiglia in una chiesa nuova, scuola nuova e quartiere nuovo. Alla fine mi rivolsi a un consulente biblico su richiesta di un caro amico, e la cosa mi aiutò.

Queste esperienze hanno fatto emergere cose dentro di me che non avevo ancora risolto. Dovetti elaborare la storia del mio fidanzamento (ne parlerò meglio un’altra volta), la vergogna per gli errori commessi nel passato, le relazioni non riconciliate, la crisi epilettica di Haven e la domanda angosciante: “Trasferirci è la decisione giusta?” Dal momento che la nuvola oscura sembrava non scomparire, andai dal mio medico e feci alcune analisi. I valori erano normali. Il medico suggerì che forse avrei dovuto prendere qualcosa per la mia ansia.

Mi fece una ricetta, assunsi i farmaci per due giorni, e poi smisi. Smisi perché, in fondo, credevo di avere bisogno di più fede che di prendere medicine. Inoltre, credevo che il senso di pesantezza pervasiva era qualcosa che Dio stava permettendo, mandando, o comunque lo si voglia dire—e che cercando di alleviarlo, (a) non avrei imparato quello che egli stava cercando di insegnarmi, (b) avrei perso il “vantaggio” di essere una cristiana angosciata che poteva fare cordoglio per il proprio peccato, e (c) sarei stata semplicemente disobbediente.

Facciamo un salto in avanti di quattro anni, e una nuova tempesta perfetta era all’orizzonte pronta a scatenarsi. Iniziammo ad aiutare una coppia il cui matrimonio era entrato in crisi, poi a mio padre fu diagnosticato un cancro alla prostata al quarto stadio, poi arrivò il COVID-19, poi mio padre finì le opzioni terapeutiche e gli fu data una prognosi di uno-due mesi, poi il ricovero in hospice, i conflitti in famiglia, la morte di mio padre, un periodo di crisi di una delle nostre figlie, altri conflitti con cari amici . . .

Poi il crollo.

Non bene

Una sera ricordo che affondai la faccia nel tappeto, gemendo e gridando, imprecando e pregando. Mi sentivo intrappolata. Impaurita. Abbandonata. Ero consapevole di non stare bene.

La mia terapista mi mandò da uno specialista in disturbi ossessivi compulsivi. Iniziai con una seduta a settimana (a volte due). Andai anche da uno psichiatra per cercare l’inibitore selettivo della ricaptazione della serotonina adatto a me. A quel tempo era una magra consolazione avere le risposte per delle cose che non avevo capito da che ho memoria.

La sensazione predominante era: Wow, sono davvero messa male. È una situazione imbarazzante. E un buon grado di: Quanto la mia vita è stata danneggiata da questo? Come cristiana quanto posso essere onesta sulle domande che ho senza “esagerare”?

Mi sentivo incapace di pregare o di avere un normale “tempo di comunione”, tuttavia lessi Giobbe:

Infatti le saette dell'Onnipotente mi trafiggono,

lo spirito mio ne succhia il veleno;

i terrori di Dio si schierano in battaglia contro di me. (Giobbe 6:4)

Hmm. Ok, d’accordo. [mani che si alzano in modo lento e graduale].

 Ecco, egli mi passa vicino, e io non lo vedo;

mi scivola accanto e non me n'accorgo.

Ecco, afferra la preda, e chi si opporrà?

Chi oserà dirgli: "Che fai?" (Giobbe 9:11-12)

Trovai rapidamente altri brani di un’onestà sconvolgente nella mia Bibbia: nelle Lamentazioni, nei Salmi e nei quattro Vangeli, per citarne alcuni. Divorai anche Mansueto e umile di Dane Ortlund, Dark Clouds, Deep Mercy di Mark Vroegop, Diario di un dolore di C. S. Lewis e Providence di John Piper. Ascoltai il Salmo 121 a ripetizione. Quando ebbi la forza di assorbire un po’ di più, tornai ai miei amati sermoni di Tim Keller che avevo ascoltato e riascoltato, come “Praying Our Tears” e “Praying Our Fears.” Ho apprezzato molto anche i libri di Keller “Trusting God in Difficult Times” e “Doubt, Joy, and Power”.

Mettere in musica le mie domande

E poi cominciai a cantare. Mi sedevo con una chitarra o facevo il giro a piedi del parco del quartiere, e le parole e le melodie fluivano. La notte mi rigiravo nel letto perché non riuscivo a dormire, mentre parole e melodie erano sospese nei miei pensieri.

Scrissi una canzone intitolata “Lacrime sul tuo viso” che parla di Gesù che piange con me, con Giovanni 11 come punto di riferimento. Scrissi “Tu sai” nella veranda di casa, quando le parole sulla punta della mia lingua erano “Spirito Santo, tu sei più grande della depressione / Tu hai risuscitato il Signore Gesù dalla tomba”. Un pomeriggio ero seduta a tavola nella cucina di un’amica e iniziai a comporre una canzone sull’ira intitolata “Chi altro” (“Con chi altro dovrei essere arrabbiata / Se non con Colui che prende le decisioni?”). Queste canzoni alla fine si fusero in un album, All My Questions, che esce oggi.

Le nostre domande non spaventano Gesù

Cominciai a realizzare che fare domande brutalmente oneste non era riservato ai canonizzati Giobbe, Davide, Geremia, Giovanni il Battista o Tommaso. Cominciai a realizzare che le mie quattro figlie, nelle loro età e fasi di vita diverse, si sentivano tutte molto sicure di parlare senza filtri con me dei loro desideri, delusioni e interrogativi.

Iniziai a capire che il Vangelo si applicava alla mia salute mentale, al mio dolore e alla mia fede proveniente dalla grazia. Le complessità del suo dire “sì” alla profonda sofferenza di mio padre che lo ha portato alla morte, o al mio grave disturbo ossessivo compulsivo, non erano facili da comprendere. Ma ciò che divenne più chiaro fu la certezza che questi luoghi oscuri non lo fanno scappare.

Ho iniziato a capire che il corpo di Cristo è veramente un’estensione del cuore di Dio verso di me. Ho iniziato a capire che nel mio matrimonio e nelle mie amicizie, il conflitto e i problemi non sono sintomi di disfunzionalità, ma di salute. Relazioni autentiche richiedono più di ciò che viene preparato per essere pubblicato su Instagram—quindi perché la mia relazione con Gesù dovrebbe essere diversa?

Gli ostacoli delle circostanze traumatiche, del dubbio e dei problemi di salute mentale non mi appaiono più come qualcosa che mi squalifica come cristiana. Essi sono una grazia insostituibile che egli ci dona per rivelarci il suo cuore.


Bethany Barnard è una cantautrice cristiana che ha iniziato la sua carriera musicale nel 2004, all’età di 15 anni, con il suo album di debutto Bethany Dillon. Dopo aver sposato Shane Barnard (Shane & Shane), ha pubblicato il suo primo album indipendente, A Better Word, come Bethany Barnard nel 2017. Madre a tempo pieno di quattro figlie, Bethany ha ricominciato a scrivere nel 2020 quando suo padre è morto dopo una lunga battaglia contro il cancro e successivamente le è stato diagnosticato un disturbo ossessivo compulsivo e depressione. Il suo nuovo album, All My Questions, è il risultato.

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