Aspiranti fondatori di chiese 4: Dove dovrei fondare?

Non tutti i fondatori di chiese sono chiamati a essere pastori. Non tutti i pastori sono chiamati a essere pastori guida. Non tutti i pastori guida sono chiamati a essere fondatori di chiese. “Fondatore di chiese” è un sottogenere di pastore guida, che è un sottogenere del pastore, che a sua volta è un sottogenere di un cristiano. E’ importante quindi che per prima cosa un aspirante fondatore di chiese risponda alla domanda: “Ho i doni e la chiamata per fondare una chiesa?”

Ma anche in caso di risposta affermativa, il suo compito di discernere la chiamata non è ancora esaurito. C’è ancora una realtà che deve affrontare e un’altra domanda cui rispondere. La realtà: non tutti i fondatori di chiese sono efficaci allo stesso modo in tutti i contesti. La domanda: ho i doni e la chiamata per fondare una chiesa dove?

Il grado di saggezza nel rispondere a quest’ultima domanda di solito determina la vitalità del fondatore di chiese. Anche uomini dotati di grandi talenti possono incontrare difficoltà quando i loro talenti sono incompatibili con il contesto. D’altra parte, un adattamento al contesto dato da Dio può avviare un bravo pastore nella media a un ministero duraturo. In che modo allora un fondatore di chiese può discernere la chiamata a persone e a un luogo specifico? Fornisco qui tre ingredienti per rispondere all’importantissima domanda: “Ho i doni e la chiamata per fondare una chiesa dove?”

1. Preparazione culturale

Nel suo imperdibile libro “Church in the Making: What Makes or Breaks a New Church Before it Starts”, l’ex fondatore di chiese Ben Arment ha studiato chiese in via di fondazione che sono riuscite a sopravvivere e chiese che non ci sono riuscite. Egli fa notare che una visione coinvolgente, una grande fede e molti soldi non rappresentano i fattori decisivi, individuando invece tre altri ingredienti che verosimilmente sono in grado di decidere o meno la riuscita di una chiesa: “buon terreno”, “pietre mobili” e “radici profonde”.

“Buon terreno” significa una comunità spiritualmente ricettiva; il suolo è stato coltivato e il vangelo e una nuova chiesa sono prontamente ricevuti. “Pietre mobili” significa che la chiesa ha una sua dinamica sociale, un numero sufficiente di persone per formare una comunità attraente. “Radici profonde” significa che la visione della chiesa non è d’importazione generica; deriva da una profonda comprensione della realtà locale. Almeno uno di questi ingredienti è presente in tutti gli esempi fatti da Arment di chiese in via di fondazione vitali.

Leggendo il libro di Arment, quello che ho notato è che tutti questi ingredienti riguardano la preparazione culturale del fondatore di chiese sulle persone e sul luogo specifico. Ha preparato il suolo? Ha una rete di relazioni sociali nella città? La sua visione proviene dalla conoscenza del posto e dall’esperienza (tutte cose che non si trovano nelle indagini demografiche)?

Quando si valuta dove fondare, occorre tenere presenti due cose: (1) Dovremmo considerare luoghi che conosciamo e dove Dio ci ha dato delle relazioni. Molto probabilmente, esse deriveranno da esperienze avute nella zona. Non scartare la tua città natale o una città nella quale hai vissuto per tanto tempo. (2) Paracadutarsi in una città nella quale non sei vissuto o non hai relazioni è il lavoro più difficile nel ministero. Certo, Dio chiama alcuni fondatori a fare proprio questo! E alcuni sono particolarmente dotati per questa sfida (vedi l’apostolo Paolo). Ma dobbiamo aprire bene i nostri occhi prima di lanciarci: dovremo fare il lavoro difficile e lento di preparare il suolo, costruire reti sociali e capire la cultura locale. I fondatori che si paracadutano in un posto dovrebbero essere preparati a investire anni nella loro nuova città prima di vedere del frutto significativo.

2. Prontezza al sacrificio.

Paolo notoriamente rinunciò alla consuetudine di guadagnarsi da vivere grazie al ministero per offrire il vangelo “liberamente” ai Corinzi (1 Corinzi 9:8-18). Benché ciò sia spesso usato per legittimare il ministero bi-vocazionale, penso che insegni anche un principio più importante: un fondatore di chiese avverte un peso così grande per la gente del posto da essere disposto a soffrire per loro. (Nota a margine: per quanto osservo, essere bi-vocazionale a volte è una scusa dei fondatori per evitare la sofferenza chiamata “raccolta di fondi”).

Ogni ministero del vangelo efficace richiede sacrificio, e la disponibilità al sacrificio è spesso un segno della chiamata. Ciò vuol dire che un fondatore di chiese non dovrebbe scartare un certo luogo solo perché è un posto che non gli “piace” o in cui “non si sente a casa”. Vuol dire anche che egli può misurare la forza della sua chiamata dai limiti che pone al sacrificio.

Queste sono alcune domande per aiutare a misurare questa prontezza: che cosa mi irriterà della vita quotidiana in questa città (possibili esempi: case piccole, alto costo della vita, traffico, nessun bar nel raggio di 15 km, clima, cultura omogenea, cultura multi-etnica)? Sono disposto a sopportare pazientemente questi inconvenienti per svolgere il ministero qui? Quali sono gli idoli di questa cultura? Sono pronto a fare loro da pastore anche con questi idoli, senza diventare moralista o arrabbiarmi? Quali sono i rischi di fondare qui? Va bene lo stesso se dovessimo fallire? Quale tipo di lavoro non vorrei fare, ma che però dovrò fare, per fondare questa chiesa (possibili esempi: creare una rete di relazioni sociali, raccogliere fondi, consulenza pastorale, superare confini culturali, imparare una nuova lingua)? Sono disposto a farlo senza lamentarmi?

3. Collaboratori chiamati ad andare con te.

La chiesa di Antiochia in Atti 13 sembra essere stata la prima chiesa che fonda chiese in modo intenzionale della storia. Essa ha stabilito un modello che è stato ripreso più volte durante l’era apostolica: Barnaba e Saulo furono mandati insieme (forse impararono questo da Gesù, che mandò i suoi discepoli a due a due in Marco 6). Anche quando Saulo divenne il famoso Paolo, non fu mai un eroe solitario che si avventurava da solo verso le frontiere occidentali. Egli viaggiò e svolse l’ufficio di pastore con compagni e suoi protetti – Barnaba, Sila, Giuda, Timoteo, Giovanni Marco. Nella rara occasione in cui si trovava da solo, aspettava che gli altri lo raggiungessero (Atti 17:5).

Da questo modello possiamo osservare un principio. In senso negativo: Se pensi che Dio ti stia chiamando a fondare una chiesa un posto specifico ma non ha chiamato nessun’altro ad andare con te, potrebbe non averti chiamato in modo così chiaro come immagini. In senso positivo: spesso Dio chiama coppie o squadre. Lo fa per consolidare e confermare la chiamata a fondare tra persone e in un luogo specifico.

Perché questo è importante? Da un lato, l’autoinganno significa che è possibile “udire una chiamata” di un’ambizione non soddisfatta e scambiarla per la chiamata di Dio. Immagina come deve essere stato incoraggiante per Saulo (uomo indubbiamente orgoglioso) quando Barnaba confermò il suo ministero a Gerusalemme (Atti 9) e si unì a lui nella sua prima ambizione missionaria (Atti 13)! Dall’altro lato, lo scoraggiamento e la difficoltà possono farci perdere di vista una chiamata autentica. Immagina quanto dev’essere stato rassicurante per Tito quando Paolo gli ricordò la sua chiamata a fondare chiese tra i bugiardi e i ventri pigri di Creta (Tito 1). Immagina anche come si deve essere sentito rinfrancato Timoteo (uomo indubbiamente timido) quando, circondato da falsi insegnati e da dispute, Paolo gli ricordò la sua chiamata a Efeso (1 Timoteo 1). Tutto questo fu possibile perché Paolo, Tito e Timoteo non erano fondatori di chiese isolati paracadutati. Erano collaboratori nel vangelo!


Hunter Beaumont è Pastore guida della Fellowship Denver Church di Denver (Colorado). Hunter pratica (con scarsi risultati) molte attività all’aperto tipiche del Colorado: sci, ciclismo su strada e pesca con la mosca. Ha una laurea in Teologia conseguita al Dallas Theological Seminary e nella sua vita precedente era un dottore commercialista.  

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