Sette lezioni dai miei primi sei mesi di ministero pastorale

Le annotazioni nel diario e le email inviate agli amici più intimi durante i miei primi sei mesi come pastore contenevano una discreta dose di angoscia, dal momento che dovevo fare i conti con sfide per le quali ero stato preparato soltanto intellettualmente. Sono comunque estremamente grato per essere stato istruito su molte delle sfide che avrei affrontato come neo-pastore.

Non posso immaginare quanto questo periodo sarebbe stato più difficile se non avessi ricevuto almeno quel tipo di preparazione.

La mia esperienza è ancora troppo limitata per suggerire “le sette dinamiche più importanti alle quali un neo-pastore deve prepararsi”, tuttavia vorrei condividere sette situazioni che ho vissuto intensamente nei miei primi sei mesi di ministero pastorale.

1. Sono stato sorpreso dalla solitudine

Devi sapere a chi rivolgerti quando sei in difficoltà.

Quando hai frequenti malintesi con un membro del tuo staff, e non riesci a capire perché continui ad offenderlo, vorresti parlarne con qualcuno. Tuttavia esiterai a condividere questa cosa in chiesa, dove tutti conoscono quella persona, perché non vuoi dire nulla che possa metterla in cattiva luce.

Di conseguenza, ti rivolgerai a persone esterne alla chiesa—ai tuoi amici del seminario o del passato. Liberarti di un peso dallo stomaco ti farà sentire bene. Tuttavia, poiché i tuoi amici non hanno mai conosciuto quel membro del tuo staff, scoprirai che hanno una capacità limitata di offrire un’analisi utile di una dinamica relazionale che non hanno vissuto in prima persona.

Se hai una moglie, naturalmente sarà lei la tua confidente più fidata. Nondimeno, ci sono diversi motivi per cui è necessario essere saggi su quali e quanti conflitti relazionali condividere con lei. Se lei non fa parte del processo di riconciliazione quando il conflitto termina, sarà in grado di metterci una pietra sopra? Ed è giusto chiederle di portare tutti i tuoi pesi oltre ai suoi? Può essere estenuante essere sposate con un pastore che torna a casa e dà sfogo alle sue frustrazioni sera dopo sera.

Per di più, non sperimenterai la solitudine soltanto in situazioni di conflitto. Qualcuno contesterà una tua decisione, e il tuo impulso sarà quello di spiegare per filo e per segno il tuo processo decisionale alla persona che ha dubbi in merito in modo da farla restare a bocca aperta, stupita dalla genialità del tuo intelletto. Ma quando ti rendi conto che questo impulso ha la sua radice nel desiderio di auto-glorificarti, terrai segrete le conversazioni a porte chiuse che hanno condizionato il tuo processo decisionale. Per possa essere dolorosa, è la cosa più saggia da fare: Non puoi rimangiarti quello che hai confidato a qualcuno che poi utilizza in modo improprio le tue parole.

La solitudine nel ministero è inevitabile. Fà che essa ti conduca alla preghiera, che ti costringerà ad affidarti come non mai al conforto soprannaturale di Cristo.

2. Devo imparare a priorizzare 

Sviluppa le abilità necessarie per la predicazione e l’insegnamento in grado di sostenerti durante gli anni di ministero.

A meno che tu non abbia un ruolo ben delimitato, specializzato, probabilmente le tue responsabilità settimanali saranno più di quelle che riuscirai a far fronte. Impara a quali cose dare priorità. Dopo il tuo cammino con il Signore, fai della predicazione e dell’insegnamento le priorità della tua settimana.

Sono stato grandemente benedetto dal mio pastore senior, che mi ha incoraggiato a fare proprio questo. Mi sono quindi creato un ritmo per studiare accuratamente un brano biblico dopo l’altro. Sto conservando la mia capacità di lavorare con le lingue. Sto prendendo note in Amos che mi eviteranno di fare errori quando predico su Atti. Sto imparando a non essere legato al mio manoscritto. E mi sto rendendo utile al corpo diventando un predicatore che può aprire la Bibbia e fare in modo che gli uditori dicano: “Ma perché non ho mai visto questo prima? Non vedo l’ora di leggere la mia Bibbia questa settimana”.

I primi sei mesi di sermoni non sono comunque il momento per fare un “fuoricampo”. Sapendo che avrei potuto commettere questo errore, un amico mi ha saggiamente incoraggiato a scrivere i miei primi sermoni cercando di limitarmi a fare una “battuta valida”. Come direbbe Tim Keller, questo significa cercare di predicare bene (non necessariamente di predicare un ottimo sermone).

Come può dunque un neo-pastore assegnare la priorità alla sua crescita verso una buona predicazione (nel senso di fedele) e un buon insegnamento? Due importanti esortazioni omiletiche mi sono state di aiuto.

Prima, chiedi a qualcuno di valutare il tuo sermone in tutta onestà. Prima di predicare il mio primo sermone, ho formato una squadra di sette persone che dovevano recensire i miei sermoni. Queste sette persone erano diverse per età, genere, acume teologico, e convinzioni ideologiche. Per i primi sei mesi, ho mandato loro la bozza di ogni sermone due settimane prima di predicarlo, chiedendo il loro parere. Questa squadra mi ha impedito di creare un bel po’ di confusione, di commettere non pochi errori spaventosi, e di essere inutilmente offensivo.

Seconda, conosci la tua congregazione. Entra nelle loro case. Pianifica incontri a colazione, pranzo, e per un caffè. Probabilmente scoprirai che le persone sedute sulle sedie la domenica sono diverse da come pensavi. Il tuo cuore nutrirà per loro teneri sentimenti che ti aiuteranno a predicare a loro invece che predicare davanti a loro.

3. I ritmi settimanali sono importanti

Non cercare di programmare ogni settimana ripartendo da zero.

Nella maggioranza dei casi, il tuo primo incarico nel ministero prevederà più riunioni e doveri amministrativi di quanto tu pensassi. Quegli impegni consumeranno ogni giorno della tua settimana se intenzionalmente non metti da parte del tempo. Per fare questo, se possibile, riserva gli stessi blocchi di tempo gli stessi giorni di ogni settimana.

Il tuo supervisore dovrà essere d’accordo con il tuo programma settimanale; parlatene insieme e stilate un programma che metta d’accordo entrambi. Realisticamente, il ritmo settimanale che stabilisci all’inizio non si rivelerà ottimale a lungo termine. E’ importante comunque stabilire ritmi settimanali sin dall’inizio (per quanto imperfetti). Anche se dovessi scoprire che il tuo tempo non è impiegato in modo ottimale, quantomeno la tirannia dell’urgenza non lo assorbirà completamente.

Parla con altri pastori. Quando si prendono il loro giorno di riposo? Come si ritagliano il tempo per studiare?

4. Il ruolo di un numero due implica una sottomissione gioiosa

Non dare al tuo supervisore inutili motivi per essere frustrato con te.

Nel tuo primo incarico pastorale, è probabile che servirai sotto la guida di qualcuno più anziano di te. Questo significa che potrebbe esserci qualche diffidenza generazionale da superare; noi pastori della generazione y (millennials) non siamo sempre conosciuti per il duro lavoro, la puntualità, l’abbigliamento adeguato, o per onorare le figure in autorità.

Potremmo essere tentati di discutere alcune di queste differenze in questo modo: “Vogliamo un  equilibrio più sano tra vita e lavoro di quello che avevano altre generazioni di pastori”. Oppure: “Vogliamo relazionarci alla gente comune come un’altra generazione di pastori non faceva”. Ci sono almeno due insidie nell’esprimere le differenze generazionali in questo modo. Prima, potremmo essere colpevoli di considerare le nostre convenzioni culturali moralmente giuste, mentre alcune possono essere neutrali. Seconda, potremmo non stare trattando le nostre relazioni lavorative più importanti con la priorità che esse meritano.

Non voglio che il mio supervisore sia frustrato con me. Ma ad un certo punto, so che lo sarà. Quando quel giorno arriverà, voglio che lui sia arrabbiato con me perché sto suggerendo una modifica che onora Dio che lo fa sentire momentaneamente a disagio, e non perché sono pigro o ritardatario cronico, o perché lo metto in imbarazzo con la mia disinvoltura, o perché non gli dimostro il giusto rispetto davanti alle persone. Se posso scegliere di rimuovere tutte queste possibili barriere dal nostro rapporto, perché non dovrei farlo? Che cosa mi costa infilare la camicia nei pantaloni e comunicare con lui usando i suoi metodi preferiti?

Mettere da parte le nostre preferenze è solo una questione di amare il prossimo e onorare le persone in autorità. Non dovremmo aver bisogno di nessun altro motivo se non quello di rinunciare al nostro “diritto” di indossare i jeans o di occuparci di affari importanti attraverso dei messaggi di testo. E c’è un beneficio aggiuntivo a questo tipo di rispetto: è probabile che aumenterai la ricettività del tuo supervisore su ciò che vorresti cambiare nel futuro.

C’è un limite qui. Se stai lavorando per un supervisore che ti manda email sette giorni su sette e si aspetta una risposta veloce tutti e sette i giorni perché lui non osserva il riposo del sabato, allora per il bene della tua anima e per la gloria di Dio dovrai affrontare una conversazione difficile con lui. Ma in molte delle situazioni che hanno a che fare con le differenze generazionali tra un supervisore e un sorvegliato, credo che noi numeri-due faremmo bene a scendere dal nostro piedistallo e fare quello che la cultura della nostra chiesa si aspetta da noi.

5. Devo assumere l’atteggiamento di uno studente

Studia la cultura della chiesa prima di iniziare a ribaltare tutto.

In passato, prima distruggevo le cose e poi facevo le domande. Ho adottato l’approccio: “Se non è rotto, rompiamolo in modo da aggiustarlo”. Ma al seminario ho sentito più di un professore suggerire: “Non proporre nessun cambiamento significativo durante il primo anno del tuo primo incarico pastorale. Limitati ad imparare la cultura”. Lo vedevo come un tentativo del nemico di moderare il mio “lato profetico”.

Mi sono rimesso a leggere alcune email che avevo scritto ai miei pastori anni fa, quando ero all’apice del mio zelo riformatore. Con mio grande rammarico, in esse c’era molto farisaismo e poca somiglianza a Cristo. Quello fu per me un punto di svolta: capii che dovevo umiliare me stesso e imparare per un periodo nella mia nuova chiesa prima di proporre grandi cambiamenti.

Sarai riconoscente se impari questa lezione prima del tuo primo incarico pastorale. Certo, può farti male vedere quanta carta si spreca durante ogni riunione. Ma vuoi sprecare subito il tuo capitale relazionale per spingere la chiesa a imparare come si usa Google docs? Certo, forse pensi che il colore delle pareti della sala riunioni è orrendo. Che importa? Lo sapevi che l’aveva scelto la moglie del pastore senior perché è il suo colore preferito?

Nella maggior parte dei casi, è saggio continuare a fare quello che la chiesa sta già facendo per almeno un anno prima di proporre cambiamenti. Dopo aver assistito ad un intero ciclo annuale nella chiesa, potresti avere un diverso ordine di priorità nei cambiamenti che vorresti fare.

Detto questo, c’è un limite al procedere con cautela. Dopo un anno e mezzo di diplomazia paziente e intenzionale, qualcuno se l’è presa con me per alcune cose banali ma equilibrate che avevo detto dal pulpito. Questo mi portò a chiedermi: Sono stato troppo lento a smuovere le acque sulle cose davvero importanti? Non amiamo la nostra gente se tratteniamo le parole dure ma necessarie.

6. Non devo avere paura della gente

Combatti per la dimenticanza di sé.

Vale la pena leggere il libretto di Tim Keller The Freedom of Self-Forgetfulness la settimana prima di iniziare un nuovo lavoro. Ogni seminario che si rispetti insegna che la tentazione di trovare la tua identità in quello che gli altri pensano di te è uno dei maggiori rischi del ministero. Satana senz’altro ti lavorerà a dovere su questo aspetto fino a quando sarai nel ministero. Nei primi sei mesi, purtroppo, ha un netto vantaggio, dato che tu non conosci i membri della tua congregazione.

Ci sarà un gruppo di persone che ti amano e che pensano che tu sia la cosa migliore che sia mai capitata alla chiesa. Ti riempiranno di complimenti fino ad arrivare a livelli fuori luogo, nonostante i tuoi sforzi nel reindirizzare la loro lode a Dio e nel dare i giusti meriti a chi ti circonda.

Pensavo di essere preparato per questa sfida. Stavo cercando di rendere i miei pensieri prigionieri: “Vedo questa trappola per quello che è. Non farò caso a quello che si dice sul mio conto”. Ma dentro di me, quando alcune di queste persone lodavano la mia predicazione, pensavo: Ecco un tipo sveglio. Ecco qualcuno con un orecchio critico per la predicazione, qualcuno che ama davvero la Parola.

Poi andai a trovare una donna anziana che ammirava la mia predicazione mentre era in convalescenza dopo un intervento chirurgico. Era ansiosa di dirmi quanto fosse dispiaciuta di non aver potuto andare in chiesa la settimana dopo il suo intervento e di essersi persa il mio sermone. (Dio benedica lei e il suo amore per la Parola, pensai.) Ma poi ho scoperto che era altrettanto ansiosa di dirmi che aveva ovviato alla sua assenza guardando i sermoni del suo telepredicatore preferito: Joel Osteen.

Nella sua grazia, Dio ti farà capire quando non ti sei reso conto di amare la lode degli uomini, e pensavi di essere tu a vincere la battaglia. Se vuoi dimenticare te stesso, dovrai combattere per questo. Non ti verrà naturale.

7. Il ministero è fatto di notti insonni

Questo lavoro è diverso da tutti gli altri che hai avuto.

Sono sempre stato la classica persona che riusciva ad addormentarsi non appena la testa sfiorava il cuscino. Ma nelle mie prime settimane come pastore, ho passato intere nottate steso a letto a fissare il soffitto.

Una coppia in difficoltà oggi è venuta da me per un ultimo e disperato tentativo di parlare della loro relazione. Il loro matrimonio è appeso a un filo. Ho fatto le domande giuste? Ho detto quello che avevano bisogno di sentirsi dire?

Una persona evidentemente insoddisfatta della direzione che sta prendendo la chiesa si è confidata in modo inappropriato con me oggi, pensando che io stessi dalla sua parte. Una conversazione di questo tipo può facilmente dividere una chiesa! L’ho gestita con sufficiente fermezza, verità e amore?

Il nemico è dappertutto, una situazione dopo l’altra, e la posta in gioco è alta.

Naturalmente, un pastore sano non si fa consumare da tutto questo, non prende tutto sulle sue spalle, non si fa schiacciare o opprimere. Ma se superi i tuoi primi sei mesi senza sperimentare le cose di cui Paolo parla—le notti insonni, l’assillo quotidiano delle preoccupazioni che vengono da coloro che sono affidati alla tua cura—senza mai gridare disperatamente a Dio in favore della tua gente, potrebbe essere saggio domandarsi: Perché lo sto facendo? Avvertire una certa misura del peso del compito pastorale indica che questo è il lavoro giusto per te.

Non dimenticare Dio

Per molti di noi, i primi sei mesi di ministero saranno tra quelli meno incisivi e più infruttuosi della nostra vita. Le nostre competenze sono poco sviluppate, le nostre relazioni non collaudate, la nostra teologia incompleta. Quanto sarebbe perciò insensato per un neo-pastore trascurare la sua relazione personale con Dio per avere più ore di lavoro al fine di generare una trascurabile quantità aggiuntiva di successo nel ministero?

Agli inizi del tuo nuovo ruolo di sotto-pastore del popolo di Dio, pensa prima di tutto a formare abitudini durature di intimità con Dio.


Tim Higgins (MDiv, Trinity Evangelical Divinity School) è il marito di Sara, il padre di Elijah, e il pastore associato di North Suburban Evangelical Free Church di Deerfield, Illinois. Prima di entrare nel ministero, Tim era un professore delle scuole superiori e ha fatto l’allenatore di football per cinque anni. Puoi seguirlo su Twitter.

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