Quale coraggio potrebbe sprigionare il coronavirus?

Negli ultimi giorni, la paura del coronavirus ha avuto un picco, come il numero dei contagi e delle nazioni contagiate. 

Si sono registrati circa 170.000 casi in oltre 100 nazioni. Migliaia di persone sono morte. L’Italia è quasi completamente chiusa, dopo essere stata la nazione più duramente colpita dopo la Cina. Le maggiori università svolgono l’attività didattica online. Disneyland ha chiuso i battenti. I principali tornei sportivi internazionali sono stati sospesi o rinviati, con ingenti perdite economiche. Gli Stati Uniti hanno messo al bando i viaggiatori da gran parte dell’Europa per trenta giorni. Secondo alcune stime, circa 200 milioni di americani potrebbero venire infettati dal virus. Se questa previsione dovesse avverarsi, mantenendo l’attuale tasso di mortalità del 3 per cento questo vorrebbe dire più di 6 milioni di morti solo negli USA.

Anche se col passare delle ore la nostra conoscenza di questo virus aumenta, le cose che ancora non conosciamo rimangono tante (le sapremo solo tra qualche tempo, o forse non le sapremo mai). Il che spiega l’incredibile forza di questo virus: la terrificante paura dell’ignoto.

Il più grande degli spaventi

Dietro ai nostri timori sul COVID-19 si nasconde la paura pervasiva della morte, che tiene in schiavitù la maggior parte degli uomini, spesso in modo subdolo, per tutta la loro vita (Ebrei 2:15). In giorni come questi, i commenti di C.S. Lewis sulla guerra sono altrettanto rilevanti in una crisi pandemica:

Che cosa fa la guerra [o il coronavirus] alla morte? Non la rende di certo più ricorrente; il 100 per cento di noi muore, e questa percentuale non può essere aumentata. Può causare diverse morti premature, ma non credo che sia questo a spaventarci. . . . Eppure la guerra fa qualcosa alla morte. Ci costringe a ricordare la sua esistenza. . . . La guerra ci fa apparire la morte reale, e questa sarebbe stata considerata una delle sue benedizioni dalla maggioranza dei grandi cristiani del passato. (“Learning in War-Time”)

La realtà della morte non è cambiata. Quello che è cambiato nelle ultime settimane, almeno per alcuni di noi, è che adesso stiamo diventando consapevoli di ciò che inevitabilmente accadrà a ciascuno di noi. Se siamo disposti ad ascoltare e accettare quello che Dio sta dicendo attraverso il COVID-19, persino un terribile virus mortale potrebbe diventare uno strano e amaro atto di misericordia.

Benché come cristiani, in quanto difensori della vita, prendiamo sul serio questa pandemia, informandoci adeguatamente e adottando tutte le precauzioni del caso, il COVID-19 è un avvertimento per tutti noi, come pure un richiamo e un mandato per tutti coloro che amano e seguono Cristo. Coloro che sono stati liberati dal timore della morte si assumeranno i rischi che molti nel mondo oggi non vogliono assumersi, e manifesteranno la loro speranza tra persone impaurite, contagiate e morenti?                                                                 

Ciò che non può distruggere il corpo

Gran parte del mondo potrebbe essere sordo all’avvertimento divino in una pandemia globale. Ma il Signore del cielo, che governa ogni germe e molecola nell’universo, dice a chiunque abbia orecchi per udire: 

Non temete coloro che uccidono il corpo, ma non possono uccidere l'anima; temete piuttosto colui che può far perire l'anima e il corpo nella geenna. (Matteo 10:28) 

Anche se i tassi stimati di mortalità sono più bassi di quelli di precedenti epidemie, come la SARS o la MERS, il virus si è diffuso molto di più a livello globale, il che significa che anche se le percentuali possono apparire piccole, diversi milioni di persone potrebbero morire, specialmente le più deboli e le più vulnerabili.

Tuttavia, l’avvertimento di Matteo 10 è accompagnato da una promessa straordinaria per quanti temono Dio e trovano rifugio in lui. Nel versetto successivo, Gesù dice: 

Due passeri non si vendono per un soldo? Eppure non ne cade uno solo in terra senza il volere del Padre vostro. Quanto a voi, perfino i capelli del vostro capo sono tutti contati. Non temete dunque; voi valete più di molti passeri.. (Matteo 10:29-31) 

Mentre gli organismi preposti al controllo della salute pubblica sono impegnati in una corsa contro il tempo per contenere il COVID-19, il tuo Padre nei cieli sta contando ogni capello del tuo capo. Egli regna su una pandemia mondiale, e tuttavia si prende cura di ogni tuo bisogno. Se tu ed io moriamo, in Cristo, non sarà perché egli ci ha dimenticato o abbandonato.                   

Cristo è molto meglio

Chiunque abbia ricevuto il dono della vita ha conosciuto la paura della morte. E chiunque ha trovato la strada stretta che conduce alla vita vera ed eterna ha visto Cristo mutare radicalmente la paura della morte. L’apostolo Paolo, che rischiò di morire molte volte seguendo le orme del suo Signore crocifisso, dichiara:

Infatti per me il vivere è Cristo e il morire guadagno. Ma se il vivere nella carne porta frutto all'opera mia, non saprei che cosa preferire. Sono stretto da due lati: da una parte ho il desiderio di partire e di essere con Cristo, perché è molto meglio. (Filippesi 1:21-23)

Tempi come questi provano se possiamo dire la stessa cosa. Può essere facile dire che il vivere è Cristo, e il morire è guadagno quando vivere per Cristo ci costa poco e la morte sembra lontana. Un'altra cosa è dirlo quando l’epidemia si diffonde e noi, o un nostro caro, potrebbe morire da qui a poco. La morte è davvero una buona notizia per coloro che amano Gesù? Il COVID-19 rappresenta una nuova e più cupa tela sulla quale Dio ripete ancora: La vita dopo la morte è molto meglio persino della vita più bella su questa terra

Naturalmente, la morte in se stessa non è meglio. E’ un orrore e un nemico da odiare. Ma con Cristo, anche la morte diventa una serva — una porta di accesso alla completamente appagante e assolutamente sicura presenza di Gesù, per sempre. La morte è un guadagno, non perché l’esperienza della morte sia meno probabile, o meno penosa, ma a causa di ciò che la morte ci dona — a causa di Chi la morte ci dona. Affronteremo l’incertezza di questi giorni con un amore coraggioso a causa di ciò che adesso la morte significa per noi?                                                                                                                                          

Liberi di rischiare

Paolo sapeva che la morte era molto meglio che trascorrere qualche altro anno sulla terra. Ma sapeva anche che cosa fare dei giorni che ancora gli rimanevano da vivere. “Ho il desiderio di partire e di essere con Cristo, perché è molto meglio; ma, dall'altra, il mio rimanere nel corpo è più necessario per voi. Ho questa ferma fiducia: che rimarrò e starò con tutti voi per il vostro progresso e per la vostra gioia nella fede” (Filippesi 1:23-25). Per quanto egli desiderasse essere con Gesù, continuava a dare se stesso alle anime che gli erano vicine, lavorando, facendo sacrifici e rischiando per il loro progresso e per la loro gioia nella fede.

Saprà la chiesa, nei momenti giusti e con grande saggezza, mobilitarsi per soddisfare i bisogni che la circondano, tutto questo per il progresso e la gioia nella fede in Gesù degli altri? Un coraggio di questo tipo non sarà irresponsabile o sbrigativo, e non ignorerà le opportune precauzioni disposte dalle autorità. Una delle cose più amorevoli che possiamo fare adesso è limitare e rallentare la diffusione del virus. Tuttavia, questo genere di coraggio sarà pronto, nei giorni a venire, anche a intervenire dove necessario quando saranno in pochi a farlo. 

David Brooks ci ricorda che durante l’influenza spagnola che colpì l’America nel 1918 . . . col peggiorare delle condizioni, gli operatori sanitari di ogni città rivolsero appelli per trovare volontari che curassero gli ammalati. Pochi risposero ai loro appelli. A Filadelfia, il responsabile del soccorso di emergenza implorò aiuto per assistere i bambini malati. Nessuno rispose.  

Se tempi come questi ci stanno davanti, i cristiani, resi liberi dalla paura della morte, potrebbero essere i primi a farsi avanti. Risponderemo se una chiamata del genere dovesse arrivare, se le cliniche e gli ospedali, pieni e sovraffolati, non saranno in grado di prendersi cura di tutti?                                                

‘Non temo perdita alcuna’

Nel 1519, quando la peste nera raggiunse Zurigo, in Svizzera, la città del pastore e Riformatore Ulrich Zwingli, l’epidemia sterminò un terzo della popolazione. Zwingli era stato in villeggiatura, ma mentre tutti gli altri fuggivano dalla città, egli con coraggio tornò indietro per assistere e confortare gli ammalati, e per parlare loro della speranza che egli aveva in Gesù.

Rischiando la sua vita, fiducioso che Cristo aveva ancora un popolo numeroso nella sua città contagiata (Atti 18:9-10) e che sarebbe stato con lui nel pericolo (Isaia 43:1-3; Matteo 28:20), egli contrasse la peste e rischiò di morire. Ma non invano, e non senza una speranza, poiché egli soffrì nella via dell’Amore. 

Egli scrisse diverse poesie tra i tormenti della malattia, con strofe come questa:

  Con fede e speranza 

  Rinuncio a questo mondo,

  Sicuro del cielo

  Perché io sono Tuo.

E poi più avanti, quando i suoi sintomi peggiorarono:

  Egli non mi fa del male,

  Non temo perdita alcuna

  Perché io sto qui,

  Sotto la tua croce. 

La speranza di Zwingli nel cielo non lo rese irresponsabile o egoista davanti alla malattia e alla morte, ma lo riempì di coraggio e lo liberò dalla paura della morte per vedere e prendersi cura dei bisogni degli altri. Conoscendo la posta in gioco, e che cosa lo attendeva dopo la morte, egli accettò il pericolo, con grande rischio per la sua persona, di occuparsi dei sofferenti, soprattutto di coloro che erano destinati alla sofferenza eterna. 

Che la stessa cosa possa essere vera di noi, mentre come cristiani ci muoviamo verso i vicini nel bisogno senza tenerci a distanza; mentre le nostre chiese aprono le loro braccia e le loro porte se gli ospedali si riempiono e diventano sovraccarichi; accettando i rischi giusti, nel momento giusto, riempiendo così le nostre città spaventate con il nome di Gesù.                                              

Questo è il momento

In tempo di pace è più facile soffocare il vangelo. Che cosa c’è da aver paura? Ma non durante una pandemia. Quando l’epidemia di colera scoppiò a Londra, Charles Spurgeon ammonì tutti i credenti in Cristo: 

Questo è il momento per tutti voi che amate le anime. Potreste vedere gli uomini ancora più allarmati di quanto già non lo siano; e se tali dovessero apparirvi, approfittate dell’occasione per fare loro del bene. Avete il balsamo di Galaad; quando le loro ferite bruciano, versatelo. Voi conoscete Colui che è morto per salvare; parlate di Lui. Innalzate la croce davanti ai loro occhi. Dite loro che Dio si fece uomo affinché l’uomo potesse andare a Dio. Parlate loro del Calvario, dei suoi gemiti, delle sue grida, e del sudore simile a grosse gocce di sangue. Parlate loro di Gesù appeso alla croce per salvare i peccatori. Dite loro che  

“C’è vita per uno sguardo rivolto al Crocifisso”. 

Dite loro che Egli è in grado di salvare perfettamente quelli che per mezzo di lui si avvicinano a Dio. Dite loro che Egli può salvare anche all’undicesima ora, e che può dire al ladrone morente: “Oggi sarai con me in paradiso”.

Dio ha preparato per noi opere buone (Efesini 2:10). Egli ci ha preparato per giorni come questi. Egli intende mostrare le immense ricchezze della sua bontà attraverso dei semplici atti di coraggio cristiano in un mondo paralizzato e consumato dalla paura. Padre, nel nome di Gesù, usa la tua chiesa.


Marshall Segal (@marshallsegal) scrive per desiringGod.org, di cui è anche direttore esecutivo.  E’ l’autore di Non ancora sposati. Trovare la vera gioia nelle relazioni sentimentali (Adi-Media, 2017). Si è laureato al Bethlehem College & Seminary. Lui e sua moglie, Faye, hanno un figlio e vivono a Minneapolis.

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