L'ospitalità può cambiare la tua chiesa

Qualcuno ha detto che “la chiesa è un ospedale per i peccatori, non un museo per i santi”. Credo che questa frase abbia avuto origine da una rubrica di posta del cuore di un noto giornale. È un’immagine suggestiva che richiama alla mente persone che stanno male e che vorrebbero stare meglio, persone che riconoscono di essere malate, che sono abbattute a causa della loro condizione di infermità e che si sono affidate alle mani di qualcun altro per essere aiutate.

Strettamente legata alla parola “ospedale”, è la parola “ospitalità”. La radice di entrambe le parole è il nome latino hospes, che significa “colui che provvede alloggio o intrattenimento per un ospite o un viaggiatore”.

Gli ospedali offrono ospitalità agli ammalati in modo che possano guarire e ristabilirsi, e questo è esattamente ciò che Dio chiama la chiesa a fare.

La chiesa come ospedale per i malati

L’Antico e il Nuovo Testamento comandano a coloro che appartengono al Signore di offrire ospitalità in modo generoso. Non dobbiamo limitarci a praticare l’ospitalità, ma dobbiamo praticarla in modo da fornire aiuto e cura ai malati, qualora ciò si renda necessario.

Il profeta Isaia dice che il vero digiuno consiste nel dividere il pane con chi ha fame e condurre a casa gli infelici privi di riparo (Isaia 58:7). Paolo dice a Tito che un anziano deve essere ospitale (Tito 1:8).

Mentre si trova in casa di uno dei principali farisei, Gesù gli dice: “Quando fai un convito, chiama poveri, storpi, zoppi, ciechi; e sarai beato, perché non hanno modo di contraccambiare; infatti il contraccambio ti sarà reso alla risurrezione dei giusti” (Luca 14:13-14). L’apostolo Pietro esorta i credenti a essere “ospitali gli uni verso gli altri senza mormorare” (1 Pietro 4:9).

I malati non si trovano solo fuori dalla chiesa

La Bibbia comanda ripetutamente alla chiesa di spalancare le proprie porte all’affamato, al povero, al viandante, allo storpio, allo zoppo, al cieco e gli uni agli altri. Ma la cosa che facilmente dimentichiamo o ignoriamo è che siamo noi l’affamato, il povero, il viandante, lo storpio, lo zoppo e il cieco:

Gli scribi che erano tra i farisei, vedutolo mangiare con i pubblicani e con i peccatori, dicevano ai suoi discepoli: «Come mai mangia con i pubblicani e i peccatori?» Gesù, udito questo, disse loro: «Non sono i sani che hanno bisogno del medico, ma i malati. Io non sono venuto a chiamare dei giusti, ma dei peccatori» (Marco 2:16-17).

Noi che andiamo in chiesa siamo i malati che hanno bisogno di un medico. Siamo noi i peccatori che hanno bisogno di un Salvatore.

Siamo stati redenti dall’immenso amore e dalla grazia di Cristo. Ora siamo nuove creature e Dio vive dentro di noi, ma non abbiamo ancora raggiunto la perfezione. Siamo ancora in guerra contro la nostra carne. Non saremo senza peccato finché non saremo in cielo. Abbiamo ancora bisogno dell’ospitalità di un ospedale, pur essendo chiamati ad offrire agli altri tale ospitalità. E grazie a Dio, questo è esattamente ciò che la missione di Gesù provvede per noi.

Essere ospitali con tutti

Nei paesi ricchi dell’Occidente, può essere facile perdere di vista la realtà che Gesù è venuto per il malato e il povero, per l’oppresso e il sofferente. Persino nella chiesa possiamo tendere all’autosufficienza e ingannare noi stessi pensando di essere a posto. Ma la missione di Gesù consisteva nel soccorrere e guarire le persone, e questa è una missione di cui tutti noi abbiamo bisogno, non importa quanto stiamo bene materialmente.

Il Vangelo di Luca ci dice che Gesù iniziò il suo ministero pubblico predicando nella sinagoga della sua città di origine, Nazaret. Un giorno di sabato, egli lesse queste parole dal rotolo del profeta Isaia, scritte centinaia di anni prima:

Lo Spirito del Signore è sopra di me,

perciò mi ha unto per evangelizzare i poveri;

mi ha mandato per annunciare la liberazione ai prigionieri

e il ricupero della vista ai ciechi;

per rimettere in libertà gli oppressi,

per proclamare l'anno accettevole del Signore. (Luca 4:18-19).

Gesù chiuse il rotolo e, con gli occhi di tutta la sinagoga rivolti verso di lui, dichiarò: “Oggi, si è adempiuta questa Scrittura, che voi udite” (Luca 4:21). Gesù stava proclamando ai fedeli presenti nella sinagoga che egli era Dio e che la sua missione consisteva nel portare una buona notizia, per dare libertà e guarigione. L’Evangelo è una buona notizia! I doni del nostro Dio sono molti buoni.

Sfatare il luogo comune della chiesa come museo per i santi

Anche noi quindi dovremmo essere caratterizzati da questo tipo di bontà quando ci riuniamo per adorare il nostro Dio. Eppure, l’immagine stereotipata della chiesa è quella di un gruppo di persone scontrose o snob. Forse il mondo ci vede come una massa di musoni, o un circolo ricreativo che si incontra ogni settimana.

Non siamo sempre associati con la proclamazione della buona notizia ai poveri, con la liberazione dei prigionieri o con il diventare amici dei ciechi per dare loro la vista. Benché questo sia solo uno stereotipo, dovremmo essere onesti e ammettere che gli stereotipi da qualche parte hanno pure avuto origine. Pensa per un momento alla conversazione che hai avuto con altri credenti la settimana scorsa, o considera quali sono stati i tuoi pensieri immediati quando un forestiero è venuto nella tua chiesa. In che misura riflettono l’invito benevolo del nostro Salvatore? Siamo onesti su alcune delle nostre brutte tendenze e reazioni, e chiediamo al Signore di aiutarci a fare spazio con gioia a tutti quelli a cui egli si avvicina.

Quando Gesù disse: “Lo Spirito del Signore è su di me”, egli stava dichiarando di essere l’unto di Dio. Egli sapeva qual era la missione del Messia promesso. Egli stava dichiarando alla sua comunità che Dio era sceso, come aveva promesso, e che era venuto per salvare i perduti e guarire i malati.

Questo è il nostro Dio. Gesù dice a noi cristiani: “Seguitemi”. La sua missione, che consiste nell’annunciare la buona notizia e nel portare libertà e guarigione, è perciò anche la nostra.


Jen Oshman è la moglie di un pastore ed è una missionaria da oltre due decenni in tre continenti. È anche una scrittrice, oratrice e podcaster. La sua passione è quella di incoraggiare le donne ad accrescere la loro fede e avere una visione del mondo biblica. È l’autrice di Enough About Me: Find Lasting Joy in the Age of Self (Crossway, 2020) e Cultural Counterfeits: Confronting 5 Empty Promises of our Age and How We Were Made for So Much More (Crossway, 2022). Jen e suo marito Mark vivono con le loro figlie in Colorado dove hanno fondato Redemption Parker, una chiesa aderente ad Acts 29.

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