Le chiacchierate in chiesa erano più importanti di quello che pensavo
Ho un’amica in chiesa che chiamerò Lynn. Prima della pandemia, parlavamo per qualche minuto quasi ogni domenica. La incontravo nei bagni o ci incrociavamo all’ingresso. Lei mi dava un abbraccio, e ci scambiavamo informazioni sugli eventi della nostra settimana. Io e Lynn abbiamo personalità molto diverse e viviamo in circostanze altrettanto diverse; credo che è anche per questo che ci piace parlare insieme.
Ma sono ormai mesi che non scambio più due chiacchiere con Lynn. La vedo nella sala di riunione della chiesa occasionalmente, ma non ci incrociamo più. La pandemia limita il numero di persone che possono stare nei bagni e aumenta la distanza tra noi nell’ingresso. La nostra chiesa ha deciso di abolire la pausa per il caffè tra i culti, e l’inverno del New England riduce gran parte delle interazioni nel parcheggio.
Mi manca parlare con Lynn. Anche se abbiamo pranzato insieme diverse volte negli ultimi anni, telefonate o incontri regolari non sono aspetti caratteristici della nostra relazione. Quando ciascuna di noi due stava scegliendo la compagnia da frequentare durante la pandemia, non ci siamo sentite ferite per le nostre scelte. Non siamo migliori amiche; siamo amiche che parlano in chiesa.
Ma adesso non più.
La mia tristezza per Lynn è solo un esempio del mio dispiacere per la mancanza di chiacchierate dovuta alla pandemia, specialmente in chiesa. Sarò anche introversa, ma mi manca parlare con il gruppo di bambini che si avvicinavano alla mia panca dopo il servizio e che ora vanno con i loro genitori in una sala di ascolto a misura di bambino ed escono da un’altra porta. Mi manca scherzare con gli adolescenti che prima della pandemia erano seduti vicini tra loro nell’ultima fila. Mi mancano le decine di relazioni occasionali rinvigorite, cinque minuti alla volta, da un buon caffè preso nella saletta dal tappeto rosa.
A posteriori, queste piccole, e talvolta imbarazzanti, conversazioni non sembrano particolarmente significative. Perché allora mi mancano così tanto?
Categorie di amicizie
In un recente articolo per The Atlantic, Amanda Mull ha lamentato la scomparsa delle relazioni periferiche:
Comprensibilmente, molte delle energie dirette verso i problemi della vita sociale durante la pandemia sono state investite per mantenere le persone legate alle loro famiglie e amici più intimi… La pandemia ha fatto svanire intere categorie di amicizie, e così facendo, ha impoverito le gioie di cui è fatta la vita umana, e che sostengono la salute umana.
Le scienze sociali individuano diverse categorie di amicizie e affermano che anche le nostre relazioni occasionali giocano un ruolo importante nel nostro benessere. Questi legami deboli, relazioni intermedie, o relazioni minori contribuiscono al nostro senso di appartenenza, rafforzano le nostre comunità e aumentano il nostro benessere psicologico. Queste categorie descrivono anche molti dei nostri normali rapporti, tra cui alcune delle nostre amicizie in chiesa.
Migliaia di anni prima della nascita della psicologia moderna, Gesù e Paolo conoscevano le gioie delle diverse categorie di amicizie. Nel suo ministero terreno, Gesù ebbe un amore speciale per un discepolo (Giovanni), un’amicizia intima con tre discepoli (Pietro, Giacomo, Giovanni), un impegno profondo verso i 12, e una relazione speciale con 72.
Anche Paolo aveva un caro compagno (Timoteo), alcuni collaboratori (Timoteo, Silvano, Epafra), molti cari amici (Aquila e Prisca, Evodia e Sintìche), e innumerevoli sostenitori impegnati.
Sarebbe impossibile immaginare Gesù senza il suo amato discepolo Giovanni, o Paolo senza il suo amato figlio Timoteo, ma sarebbe pure sbagliato pensare a loro senza tenere conto delle decine di legami meno stretti che sostenevano i loro ministeri e ristoravano i loro cuori.
A volte nella chiesa facciamo presto ad esaltare le amicizie particolarmente intime che crescono nei piccoli gruppi, nelle relazioni di mentoring o nei gruppi di rendicontazione. Questi sono certamente legami fondamentali, tuttavia sarebbe un errore concludere che solo perché una relazione non è intima non è importante.
Saluta gli amici a uno a uno
L’ultima epistola di Giovanni si conclude con un comando che appare casuale: “Saluta gli amici a uno a uno” (3 Giovanni 15b). Come conclusione di una lettera, che dà istruzioni per inviare missionari e praticare la disciplina di chiesa, sembra un po’ deludente. E dopo che Giovanni aveva detto di avere “molte cose da scrivere” che non poteva includere (v. 13), questa esortazione, salutatevi, potrebbe sembrare uno spreco di pergamena.
Ma la pratica di salutare nella chiesa è più importante di quello che possiamo immaginare. Per prima cosa, salutiamo “gli amici”. Con un semplice sorriso e una parola di benvenuto (o una stretta di mano in tempi migliori), affermiamo che apparteniamo allo stesso corpo. Come si dice: “Ogni amico di Cristo è un mio amico”.
Anziché essere un’organizzazione volontaria di individui messi lì a caso, la chiesa è un corpo interconnesso e interdipendente organizzato da Dio (1 Corinzi 12:18). Ciascuna parte appartiene a tutto il corpo, in virtù del fatto che apparteniamo prima di tutto a Cristo. Quando ci vediamo e cerchiamo di conoscerci, anche in piccoli modi, diamo testimonianza dell’identità di ciascun individuo come membro del popolo amato da Dio.
Poi, ci salutiamo “per nome”. Ci rivolgiamo a questi amici come individui, cercando di conoscere qualcosa di loro (iniziando dal loro nome) e riconoscere che essi hanno doni e grazie particolari che sono essenziali per il benessere di tutto il corpo (1 Corinzi 12).
Molte delle nostre relazioni sono frutto di una nostra scelta personale e ci legano a persone con interessi condivisi o che si trovano in situazioni di vita simili alle nostre. Le relazioni che abbiamo in chiesa ci mettono invece a contatto con una grande varietà di persone create a immagine di Dio e redente per la sua gloria. Nelle nostre conversazioni con gli altri, abbiamo l’opportunità di vedere la vita, anche se in modo sommario, attraverso la prospettiva di santi più vecchi e più giovani, di un sesso o di una razza diversi, che stanno attraversando una gran varietà di prove e sperimentando la grazia di Cristo in ogni genere di circostanze.
Portate i pesi gli uni degli altri
Durante la pandemia ho mantenuto un’amicizia con un’altra sorella della chiesa facendo insieme a lei una passeggiata quotidiana in un parco locale. Facciamo un giro in mezzo al boschetto che richiede circa 30 minuti per essere completato. Per i primi 20 minuti circa la nostra conversazione può essere descritta solo come una piccola chiacchierata. Parliamo del tempo o dei numeri del COVID nella nostra zona; ci scambiamo aneddoti divertenti sui miei figli o sul suo gatto.
Tornate alle nostre auto, a volte rimaniamo nel parcheggio con le chiavi in mano accennando ai pesi più profondi dei nostri cuori. Nei mesi in cui abbiamo camminato insieme, queste ammissioni hanno iniziato ad emergere prima e con più facilità, ma credo che sarà sempre necessario un tempo per chiacchierare in modo da rinnovare la nostra fiducia reciproca.
Potremmo liquidare le chiacchierate come conversazioni inutili, ma dimostrando interesse nelle questioni apparentemente insignificanti degli altri, instauriamo quella fiducia che ci permetterà di prenderci cura di loro anche nelle prove più grandi. “Rallegratevi con quelli che sono allegri; piangete con quelli che piangono” (Romani 12:15) e “portate i pesi gli uni degli altri” (Galati 6:2) sono comandamenti per gli eventi piccoli come per quelli grandi.
In ciascuna delle sue lettere alle chiese del Nuovo Testamento, Paolo inizia con delle semplici informazioni sul suo lavoro e su quello dei suoi compagni, con l’individuazione della collocazione e della situazione della congregazione e con alcune affermazioni sulla loro identità condivisa in Cristo. Potrebbe essere una forzatura chiamare questi saluti chiacchierate, ma svolgono finalità simili. Essi prendono atto delle circostanze specifiche di ciascuna parte e riaffermano la relazione.
Dopo aver dedicato le prime frasi delle sue lettere alla creazione di quel ponte relazionale, Paolo poi può discutere le questioni più profonde legate alla fede e alla vita. Così, anche qualche minuto passato ogni settimana sui banali dettagli del lavoro o dell’hobby di qualcuno non è irrilevante. Essendo stati fedeli nel poco, in seguito potrebbe esserci affidato il molto.
Naturalmente, la pandemia non va biasimata unicamente per la morte delle chiacchierate. Per decenni, le tecnologie moderne hanno pian piano ridotto le nostre opportunità di avere interazioni occasionali e impreviste con persone che non abbiamo scelto noi. Nel libro Three Pieces of Glass: Why We Feel Lonely in a World Mediated by Screens (leggi la nostra recensione), Eric O. Jacobsen espone in modo dettagliato come l’auto, il telefono e la TV hanno eroso gli spesso trascurati legami che arricchiscono le nostre vite e irrobustiscono il tessuto sociale delle nostre comunità. Nel nostro mondo, è facile nascondersi dietro uno schermo, il che significa che anche le conversazioni spontanee richiedono un certo grado di intenzionalità.
Quando i contagi da coronavirus caleranno, troveremo ancora molte sfide alle chiacchierate in chiesa. Conversazioni imbarazzanti con persone diverse da noi, conversazioni che solo in modo graduale affrontano questioni di una certa importanza, non sono mai facili o comode, ma sono più importanti di quello che immaginiamo.
Megan Hill è la moglie di un pastore e vive in Massachusetts. È redattrice di The Gospel Coalition ed autrice di diversi libri, tra cui: Partners in the Gospel: 50 Meditations for Pastors’ and Elders’ Wives e A Place to Belong: Learning to Love the Local Church . Fa parte della West Springfield Covenant Community Church (PCA). Puoi seguirla su Twitter o Instagram.
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