Il bersaglio di un sermone efficace

Prima di morire, un mio amico chiese al pastore della sua chiesa di predicare al suo funerale. Molti non credenti sarebbero stati presenti, così gli chiese di predicare un sermone evangelistico. Il pastore lesse Giovanni 3:16: “Perché Dio ha tanto amato il mondo”, e descrisse l’amore di Dio per i perduti. Alla fine, incoraggiò i non credenti a chiedere a Gesù di entrare nei loro cuori.

Ma ben prima di chiedere alle persone di prendere una decisione, la folla sbadigliava e si guardava intorno. Il problema non era la bravura del predicatore; egli era un eccellente oratore. Il problema non era la lunghezza del sermone, o il testo usato. Il problema era l’obiettivo del predicatore. Egli non si era rivolto alla coscienza dei suoi ascoltatori. Ecco come Paolo descrive l’obiettivo della sua comunicazione: “al contrario, abbiamo rifiutato gli intrighi vergognosi e non ci comportiamo con astuzia né falsifichiamo la parola di Dio, ma rendendo pubblica la verità, raccomandiamo noi stessi alla coscienza di ogni uomo davanti a Dio” (2 Corinzi 4:2).

Predicare alla coscienza ha un significato concreto. Significa spiegare quali sono i doveri degli ascoltatori nei confronti di Dio, il loro fallimento nel soddisfare questi doveri, la loro impotenza nel porre rimedio a tale fallimento, le conseguenze eterne di questo fallimento e la stupefacente grazia che Dio offre a tutti coloro che si umiliano, si ravvedono e credono nella buona notizia.

In altre parole, predicare alla coscienza suscita una reazione. Tale predicazione mira a turbare la coscienza di chi è indifferente e di consolare chi è turbato.

Due presupposti

Ogni predicatore che ricerca questo obiettivo presuppone due verità cruciali.

Primo, Dio ha scritto la sua legge in ogni cuore. Come Paolo osserva, i non credenti “dimostrano che quanto la legge comanda è scritto nei loro cuori, perché la loro coscienza ne rende testimonianza e i loro pensieri si accusano o anche si scusano a vicenda” (Romani 2:15). Il predicatore presuppone di poter risvegliare le coscienze dei suoi ascoltatori predicando nella potenza dello Spirito rivolgendosi alle loro coscienze.

Secondo, egli presuppone che non dovrebbe sfidare le coscienze dei suoi ascoltatori senza offrire loro una speranza. Questo è il problema di certe forme di predicazione che prospettano il fuoco dell'inferno e la dannazione. Esse a volte sono prive della speranza che viene dalla consapevolezza della soluzione offerta da Dio nel Vangelo. La speranza può trasformare la prospettiva della condanna in convinzione vivificante, che è l’evidenza di una coscienza che è stata toccata dal Vangelo.

L’esempio di Paolo

L’apostolo seguì il suo consiglio quando predicò nell’Areòpago di Atene. Invece di iniziare dall’amore di Dio, egli rivolse le sue argomentazioni alle coscienze dei suoi ascoltatori: “Dio dunque, passando sopra i tempi dell'ignoranza, ora comanda agli uomini che tutti, in ogni luogo, si ravvedano, perché ha fissato un giorno nel quale giudicherà il mondo con giustizia per mezzo dell'uomo che egli ha stabilito, e ne ha dato sicura prova a tutti risuscitandolo dai morti” (Atti 17:30-31).

Notiamo che per prima cosa egli spiega il loro dovere—il comandamento divino a ravvedersi—e poi si rivolge alle loro coscienze. Gli uomini dovranno rendere conto delle loro vite, poiché Dio ha “fissato un giorno nel quale giudicherà il mondo con giustizia”.

Consideriamo anche l’approccio di Paolo nella sua lettera ai Romani. Dopo aver brevemente annunciato la buona notizia (1:16–17), egli passa molto tempo a rivolgersi alla coscienza (1:18–3:20). Soltanto dopo aver esposto accuratamente i doveri dei suoi ascoltatori nei confronti della legge di Dio e la loro incapacità di osservarla—stimolando quindi le loro coscienze—egli ritorna al tema della speranza evangelica (3:21–26). Sorprendentemente, in tre capitoli circa 1.300 parole sono rivolte alle coscienze degli ascoltatori, e circa 80 descrivono la soluzione offerta dal Vangelo.

Alcuni anni dopo, Paolo predica coraggiosamente alla coscienza del governatore Felice (Atti 24:24). Giovanni il Battista (Matteo 3), Pietro (Atti 2) e Gesù (Matteo 5-7) fecero lo stesso.

Timore dell’uomo

Il grande ostacolo a questo genere di predicazione è il timore dell’uomo. Quando la coscienza viene risvegliata, le persone reagiscono. L’umile si ravvede, gioisce ed entra nel regno di Dio. ll superbo si adira: “Chi sei tu per dirmi che sono un peccatore?” o “Questo non è il Dio che mi hanno insegnato alla scuola domenicale”.

Un uomo dominato dal timore dell’uomo non predicherà alla coscienza. Se stai cercando una ricompensa dagli uomini mentre predichi il Vangelo, la riceverai, ma avrai solo quella. Non riceverai nulla da Dio.

I leader di cui abbiamo bisogno

Il mondo ha bisogno di pastori che temono Dio, amano i peccatori e comprendono il bisogno di predicare alle coscienze. Questo accadrà soltanto nella misura in cui lo Spirito di Dio libera i leader dal timore dell’uomo umiliandoli con un profondo senso del loro bisogno.

Che Dio ci doni tale umiltà sorprendente, unita a una passione audace, per predicare alle coscienze per la gloria di Dio.


William P. Farley è un pastore e un fondatore di chiese in pensione. È sposato con Judy, la sua migliore amica, dal 1971. Hanno cinque figli e 22 nipoti. William è l’autore di sette libri, tra cui Gospel-Powered Humility (P&R), Gospel-Powered Parenting: How the Gospel Shapes and Transforms Parenting (P&R), e Marriage in Paradise: How to Have a Genesis 2 Marriage in a Genesis 3 World (Pinnacle). Scrive regolarmente su www.WilliamPFarley.com.

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