Fondatore di chiesa, ridefinisci il successo e ricerca la salute emotiva


“Fratelli, potete pregare per me? Mi sento mentalmente, fisicamente ed emotivamente esaurito dal trascinarmi per tutta la settimana nonostante stia male. Sono talmente scoraggiato da non voler nemmeno andare al nostro incontro oggi, tanto meno predicare”.

Questo era il messaggio di testo che ho inviato ad alcuni cari fratelli diverse settimane fa. In preda all’ansia e distrutto fisicamente, mi trovavo seduto nella mia auto e piangevo in maniera incontrollabile un’ora prima dell’inizio del culto di adorazione. Avrei voluto andare a sbattere contro un muro. La maggior parte della formazione per fondare una chiesa non ti prepara per momenti di questo tipo.

Non fraintendetemi: La maggior parte della formazione che conosco è solida e valida, ma nel fondare una chiesa mi sono trovato a dover affrontare sfide che hanno messo in crisi il mio benessere emotivo. Come posso elaborare il dolore del tradimento o dell’aver perso la fiducia in qualcuno? A chi posso confidare le problematiche pastorali? Chi si prenderà cura della mia anima in mezzo allo stress e alle difficoltà mentre sto imparando a guidare la chiesa?

Nel fondare una chiesa mi sono trovato a dover affrontare sfide che hanno messo in crisi il mio benessere emotivo.

Credo che la mancanza di attenzione alla salute emotiva nella fondazione di chiese abbia generato una cultura che ci porta a ignorare o sottovalutare alcune questioni, fino a quando un fratello cade nel peccato e tutti siamo costretti a fare un passo indietro e a domandarci: Perché è successo?

Non dobbiamo sottovalutare il costo emotivo che fondare una chiesa comporta. I fondatori di chiese devono gestire tutta una serie di cose, dal continuo cambiamento, alla frequente incertezza, all’isolamento, al reperimento del sostegno finanziario, al reclutamento, allo sviluppo della leadership, ai ritmi frenetici o alle aspettative irrealistiche, per non parlare della responsabilità quotidiana di guidare le persone nella verità.

Ridefinire il successo

Molti guardano alle dimensioni, alla grandezza e al numero di culti per valutare il “successo”. Forse uno dei motivi principali per cui molti fondatori di chiesa crollano interiormente è dovuto al fatto di aver preso per buoni questi falsi parametri del vero successo. Alcuni (me incluso) osservano i ministeri o i doni che Dio ha dato ad altri, si paragonano a loro, e poi sono portati al dubbio e alla disperazione.

Ho parlato con tantissimi fondatori che sono scoraggiati perché ritengono che le loro chiese non stanno reggendo il confronto con altre chiese, e credo che molti si facciano prendere dalla disperazione in parte perché “più grande” e “più veloce” hanno oscurato il nostro obiettivo principale, che è la fedeltà. O, in modo più sottile, si crea la convinzione che queste cose sono il frutto della fedeltà. Ma questo non potrebbe essere più lontano dalla verità:

Ho combattuto il buon combattimento, ho finito la corsa, ho conservato la fede. Ormai mi è riservata la corona di giustizia che il Signore, il giusto giudice, mi assegnerà in quel giorno; e non solo a me, ma anche a tutti quelli che avranno amato la sua apparizione. (2 Timoteo 4:7-8)

Proviamo a immaginare Paolo che valuta il suo ministero come noi spesso facciamo. Se la dimensione e la velocità fossero state le sue unità di misura per il successo, allora finire in prigione sarebbe stato il più grande dei fallimenti, e sicuramente non un motivo per rallegrarsi. Egli, però, si rallegrava (Filippesi 1:18-19). E se, invece di abbatterci per ciò che non abbiamo, lodassimo Dio per averci meravigliosamente equipaggiati in vista del nostro mandato di fondare una chiesa?

Se la dimensione e la velocità fossero state le unità di misura del successo di Paolo, allora finire in prigione sarebbe stato il più grande dei fallimenti, e sicuramente non un motivo per rallegrarsi. Egli, però, si rallegrava.

Fondare nella sofferenza

La sofferenza e la fondazione di una chiesa sono inevitabilmente intrecciate. Il ministero di Paolo era caratterizzato da questi aggettivi: tribolato, perplesso, perseguitato e atterrato (2 Corinzi 4:8-9). Nel mio viaggio nella fondazione di chiese, ho visto molti uomini e le loro mogli combattere con la depressione e l’ansia.

Come dovremmo dunque reagire alla sofferenza emotiva che affrontiamo? Suggerisco che dovremmo reagire in almeno tre modi. Non sono esaurienti, ma credo possano essere utili.

1. Riconoscere la nostra condizione

Il Re Davide fu onesto sul suo dolore. Anziché ignorare il suo cuore, espresse la sua solitudine, la sua tristezza e il suo scoraggiamento (Salmo 25:16, 31:10, 42:5, 69:29).

Prima di tutto, dobbiamo riconoscere ciò che stiamo vivendo davanti al Signore—come fece Davide—in tutta onestà e con un’umile fiducia.

2. Accettare la nostra fragilità

Quando Paolo scrisse ai Corinzi “noi abbiamo questo tesoro in vasi di terra”, egli stava accettando la fragilità. Per quale motivo? “Affinché questa grande potenza sia attribuita a Dio e non a noi” (2 Corinzi 4:7).

Ho vissuto situazioni interiori che non avrei mai pensato di dover vivere. Sono stato in ansia a causa di aspettative irrealistiche. Ho conosciuto il dolore e la solitudine dovuti al peso di pascere persone che vivono in luoghi pieni di tenebre spirituali e di essere il pastore principale di una piccola chiesa di nuova fondazione. Ho provato il dolore per aver aiutato altri che poi si sono rivoltati contro di me e la mia famiglia.

Molto del mio dolore, tuttavia, è dovuto al fatto di fare affidamento sulle mie forze. Devo ravvedermi di questo peccato, ammettere il fatto di essere debole, e trovare conforto riposando nella potenza di Dio—nell’accettare i miei limiti anziché cercare di superarli. La potenza di Dio non è manifestata nella nostra competenza e capacità. Anzi, egli mostra la sua grande potenza proprio perché, in noi stessi, non siamo né competenti né capaci.

3. Non andare avanti da soli

Tutte le difficoltà sono esacerbate quando si soffre da soli. Conosco molti pastori che parlano tanto di “comunità” ma che vivono isolati. Caro fondatore, il tuo cuore ha bisogno di essere seguito e curato. Trova uomini devoti che fascino le ferite della tua anima prima che ti dissangui spiritualmente.

Come Dietrich Bonhoeffer osservò giustamente: “[Il cristiano] ha bisogno del fratello solo a causa di Gesù Cristo. Il Cristo nel suo cuore è più debole del Cristo nella parola del fratello; il primo è incerto, il secondo è certo”. Fondare una chiesa crea un’opportunità particolarmente pericolosa per isolarsi. Ricerca dunque altri fratelli cui rendere conto. Non permettere alle tensioni del ministero di farti ripiegare su te stesso. Assicurati piuttosto di avere fratelli e sorelle che ti conoscono e che investono in te. Fare questo sarà una benedizione per la tua famiglia, per la tua chiesa, e per la tua anima.

La salute emotiva è complessa, e si potrebbe dire tanto altro, ma queste tre cose sono essenziali se vogliamo ricercare un’umile dipendenza da Cristo. E dipendere da lui è una cosa decisamente migliore della dimensione o del “successo” di qualsiasi ministero.

Dopotutto, fondatore di chiesa, senza di lui non puoi fare nulla (Giovanni 15:5).


Tyler St. Clair è il pastore principale di Cornerstone Church Detroit di Detroit, Michigan. E’ sposato con la sua migliore amica, Elita, e ha cinque meravigliosi figli. Puoi seguirlo su Twitter.

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