Cultura, Re e Cristo

La religione è una questione dibattuta in una società secolare. Non che la religione sia respinta su due piedi. Più che altro deve saper stare al suo posto. La religione ha il suo posto, certo, solamente che non è al centro. E’ periferico, marginale e secondario. Il suo ruolo nella cultura è per lo più ornamentale e di supporto. Questo ruolo le è garantito fintanto che essa conosce e rispetta le regole del gioco.

La triste realtà è che a molti conduttori di chiesa contemporanei le cose stanno bene così e pur di rimanere al loro posto, rispettano le regole del gioco.

Noi che fondiamo chiese (e chiese che fondano chiese) che proclamano il vangelo di Cristo con franchezza in un contesto secolare e sempre più ostile, dobbiamo stare in guardia e vigilare su questioni, pressioni e aspettative. Non deve sorprenderci che la parola di Dio possieda una ricca comprensione del tema, non ultimo l’alquanto divertente ma sostanzialmente tragico episodio di 1 Re 22, un racconto che ha molti paralleli con la nostra situazione odierna.

Seguire il mondo

Nel regno di Acab, la situazione era tranquilla sul fronte occidentale, come del resto su quello settentrionale. In effetti, la situazione era tranquilla su tutti i fronti. Perciò, non avendo niente di meglio da fare, Acab inizia a meditare un piano. Giosafat, re di Giuda, scese a fargli visita. Acab manifesta il suo scontento per non avere sotto il suo controllo una certa città strategica. Aveva sconfitto i Siri contro ogni previsione (cap.20) ma in qualche modo Ben-Adad, il re sconfitto, era riuscito a mantenere il controllo di questa città economicamente importante.

Giosafat appoggia prontamente il piano ordito da Acab. L’unica condizione che pone è sapere se fosse stato il SIGNORE a consigliare questa guerra. Acab lo asseconda, radunando 400 profeti per consultare il Signore. Possiamo ritenere che questi profeti non fossero dei veri profeti. Potrebbero essere perfino i profeti di Astarte di cui si parla in 1 Re 18:19.  Parlano da parte del signore (v.6) ma Giosafat è diffidente. E chiede: “Non c’è qui nessun altro profeta deI SIGNORE da poter consultare?” (v 7). Egli vuole sapere quello che YHWH, il vero Dio, pensa. Guarda caso un profeta così c’è, ma non si trova tra quella gentaglia servile. Sembra che il soggetto in questione non sia mai sottomesso alla linea del partito, e Acab lo odia per la sua fedeltà.

Uno dei 400 profeti, Sedechia, spicca sui suoi colleghi perché utilizza un’immagine biblica (cf. Deut. 33:17). Essa fa capire bene il suo punto e fornisce un alone di credibilità a quello che dice (v.11). Il suo nome significa “il SIGNORE è giusto” ma suo padre, Chenaana, era probabilmente un Cananeo, un popolo escluso da Israele. Ma nel regno di Acab, tutto è concesso. C’è una parola per questo: sincretismo, cioè fondere insieme realtà in contraddizione e in conflitto tra di loro. In questo caso, adorare il SIGNORE e associarsi a quei 400 falsi profeti che erano decisi a dire al re quello che egli voleva sentirsi dire perché volevano “predirgli del bene” (v.13).

Allo stesso modo, molti nella chiesa oggi ripetono a pappagallo quello che il mondo dice. La chiesa segue la direzione stabilita dal mondo. Il mondo dice “salta”, e la chiesa chiede: “quanto in alto?” Ed è così che cadiamo nella trappola. La cultura ci dice che possiamo continuare ad adorare Gesù e a leggere la Bibbia, ma che questo non deve influenzare cosa pensi o insegni in tema di gender, omosessualità, o sull’inizio e la fine della vita. Fintanto che ci allineiamo con il mondo, tutto andrà bene. Parla fuori posto, e l’establishment liberale diventa un pò meno liberale!

Obbedienza o Conformità

Micaia, l’irritante vero profeta, è convocato dal re e durante il tragitto è istruito su ciò che dovrà dire (v.13). Il re lo interroga e, sorprendentemente, Micaia gli dice quello che lui vuole sentirsi dire, ripetendo tutto ciò che i falsi profeti avevano detto. Possiamo quasi immaginare il tono della sua risposta: “Sì, sì, Acab. Fà come ti pare. Và pure, e tutto andrà bene”!

Il re può anche essere scemo, ma non è stupido. Nel suo animo sa che non può essere così facile. Sapeva che gli era stata detta una menzogna, e per qualche inspiegabile motivo, volle sapere quello che il vero SIGNORE, il vero Dio, pensava effettivamente. Micaia dunque dichiara la parola del SIGNORE, e un messaggio piuttosto inquietante ne viene fuori: “il Signore ha pronunciato del male contro di te” (v 23). Subito dopo aver udito la verità, Acab fa rinchiudere in prigione il profeta molesto. Ma Micaia resta saldo: fa pure di me quello che ti pare, ma niente potrà cambiare l’esito della battaglia.

Questo è davvero uno straordinario parallelo con il mondo di oggi. Quelli dentro la chiesa “visibile”, che si allineano sulle posizioni del mondo su tutta una serie di questioni, sia dottrinali che etiche, sono i più feroci critici di quelli che mantengono la loro posizione e espongono la Bibbia. Questa opposizione spesso diventa personale e feroce. Loro sono quelli fedeli; quelli che hanno davvero a cuore le persone; quelli che vogliono includere altri e mostrare l’amore di Dio al mondo. Quelli invece che sul matrimonio tengono fede al punto di vista che è stato mantenuto per migliaia di anni sono diventati quelli che odiano e i bigotti. Essi si avvicinano a noi e ci schiaffeggiano, proprio come Sedechia fece con Micaia (cf. v.24).

Qualcosa di molto simile accadde qualche centinaia di anni dopo. In Giovanni 18:19-24 c’è il racconto della notte in cui Gesù fu arrestato e portato al sinedrio per essere interrogato. Gesù non era intenzionato ad alzare bandiera bianca e a fingersi morto. Egli aveva insegnato apertamente e con franchezza. Egli non aveva agito in segreto e non smussava gli angoli. Egli fu il profeta per eccellenza e un’aula di giustizia non lo avrebbe intimorito. Non sarebbe diventato un conformista per salvarsi la pelle, né avrebbe collaborato per farsi liberare. Una guardia diede uno schiaffo a Gesù dicendogli di non essere irrispettoso: “Chi ti credi di essere!?”. Gesù, faresti meglio a rigare dritto, altrimenti …

Per essere fedele al Padre suo, Gesù, il portavoce schietto, finisce inchiodato su uno strumento di tortura. Egli è cacciato dalla città. Tolto di mezzo dalla terra. Egli è escluso, messo da parte e patisce la morte lenta e dolorosa di un criminale e di un traditore. Lo schiaffo in viso non fu niente in confronto a ciò che seguì, proprio come la caparbietà di Micaia non fu niente a confronto della fedele dedizione del Salvatore.

Con un Salvatore così, come possono quelli che rivendicano di essere il popolo di Dio prendere in considerazione l’idea che la fedeltà a Cristo comporta sempre la conformità alla nostra cultura? Egli stette di fronte ai capi religiosi, ai leader politici e alla folla urlante, ma non si tirò indietro e non deviò dall’opera che il Padre gli aveva affidato. In questo, egli ci ha lasciato un modello da seguire e nella sua morte egli ha reso possibile l’imitazione del suo modello.

Il mondo non vorrà mai ascoltare ciò che la chiesa è chiamata a dichiarare. La società non si permetterà mai di parlare di peccato, obbligo di rispondere delle proprie azioni, responsabilità, ravvedimento, giudizio o grazia. Ma non abbiamo altre cose da dire. Il nostro compito come fondatori di chiese e pastori è di rendere chiara la Parola di Dio mentre predichiamo Cristo. Questo è tutto! Questa è la verità che la nostra cultura ha bisogno di ascoltare, e questo è quello che le nostre congregazioni hanno bisogno di ascoltare. Saremo abbastanza audaci da dichiararla?

L’ultima parola

La conclusione della vita di Acab è un triste finale. La battaglia si svolge esattamente come Micaia aveva detto. Acab morì in battaglia e i cani leccarono il suo sangue nell’acqua dove si lavavano le prostitute. L’ultima parola apparteneva a Dio, anche quando essa era contrastata, tutto avvenne “secondo la parola che il SIGNORE aveva pronunciata” (v 38). Nella battaglia tra la Parola di Dio e la cultura ci sarà un solo vincitore.

Non Acab, benché fu seguito da un figlio che continuò nelle vie di suo padre, e che infine lo seguì nella tomba. Per un po’ di tempo sembrò che l’empietà avesse trionfato e che i malvagi avessero vinto. Ma alla fine non furono loro a trionfare, bensì la Parola di Dio.

Non ci piace la parola “giudizio”. Tutti però giudichiamo e tutti conviviamo con il giudizio, sempre. La nostra cultura, l’opinione della gente, gli amici e anche le nostre chiese ci “giudicano”, hanno opinioni su di noi e su quello che crediamo. Possono essere giudizi benevoli, ma anche crudeli. La tentazione è quella di fare come gli altri e scegliere la conformità, ma allora dovremo affrontare il giudizio del Signore, la sua sentenza su di noi. Tuttavia, nella sua parola Dio rivela che ha preso su di sé il giudizio in modo che non dobbiamo affrontarlo come giudice.

Dio parlò e la cosa fu.

Dio dichiarò e fu fatto.

Così era allora e così è adesso.

Perciò la domanda conclusiva è questa: dove riporremo la nostra fiducia? Nei capricci di una cultura che svanisce, o nel rifugio della parola permanente di Dio, gloriosamente adempiutasi in Cristo?


Steve Timmis è co-fondatore di “The Crowded House” (La Casa Affollata), un gruppo internazionale di reti che fondano chiese. E’ inoltre Direttore Esecutivo di Acts 29 e co-autore del testo “Total Church”(disponibile in italiano: Tim Chester e Steve Timmis “Chiesa totale: intorno al vangelo e alla comunità”- Chieti, GBU-2014).