La chiesa sta generando solitudine?

La chiesa sta generando solitudine? Rosaria Butterfield dice di sì.

Lei crede che abbiamo dichiarato la nostra indipendenza gli uni dagli altri nella nostra cultura e, purtroppo, anche nelle nostre chiese. Una volta la chiesa era “d'un sol cuore e di un'anima sola; non vi era chi dicesse sua alcuna delle cose che possedeva ma tutto era in comune tra di loro” (Atti 4:32). Tempo, cibo e beni condivisi. Identità condivisa. Era la chiesa primitiva — una famiglia unita dal sangue di Gesù.

Molte delle nostre chiese hanno però abbandonato questa immagine della famiglia di Dio. La  “scarsa se non inesistente cultura della famiglia di Dio” nella chiesa occidentale moderna ha alimentato un abisso di solitudine senza precedenti, che riguarda in particolare le donne single.

La crisi della solitudine

Ho intervistato Rosaria Butterfield, autrice di The Gospel Comes with a House Key, sul tema della codipendenza. Parlando di amicizia e paletti, ci siamo soffermate sulla solitudine, soprattutto tra le donne single.

“Le donne single”, dice, “vivono difficoltà che le donne sposate non devono affrontare. Mi spiego: quando sei sposata, hai qualcuno che ti afferra per le caviglie quando sei sospesa su un burrone. Abbiamo queste donne single nella chiesa, e sono lì da sole. Chi le terrà per le caviglie?” Questa è un’efficace illustrazione di quella che Rosaria chiama la “crisi della solitudine”. “Noi [la chiesa] abbiamo creato il problema, e ora stiamo chiedendo ai single di trovare la soluzione”, dice Rosaria. “Dire a una donna single, che già è sola, di assumersi la responsabilità di mettere dei paletti nelle relazioni” non coglie il punto della questione.

“Dobbiamo fare qualcosa riguardo a questa cultura di solitudine e a questa mancanza della famiglia di Dio nella chiesa”. Aggiunge: “Quando sono disperate, le persone si fanno degli idoli”. Se sconfiggiamo la disperazione, forse la chiesa potrà recitare un ruolo non solo nella distruzione degli idoli, ma anche nella loro prevenzione.

Coltivare la famiglia di Dio

Come possiamo dunque alimentare la cultura “un sol cuore e un’anima sola” che troviamo in Atti 4 nella famiglia di Dio di oggi? Può la chiesa passare dall’agire spesso da soli e di tanto in tanto insieme ad agire spesso insieme e di tanto in tanto da soli?

Avere “un cuore solo e un’anima sola” potrebbe iniziare dalla propria casa. Rosaria rivolge una chiamata coraggiosa: “La maggior parte delle famiglie dovrebbe vivere comunitariamente con i single della chiesa”. Continua dicendo: “Lo scopo di questo, come con la genitorialità, non è creare dipendenza, ma aiutare le persone a camminare con le proprie gambe. Vivere in modo comunitario è una soluzione di breve termine, per quelle stagioni della vita in cui c’è bisogno di una presenza fedele”. Per lei il discepolato dovrebbe nascere dal modo in cui opera la famiglia cristiana.

Rosaria descrive diversi benefici per la famiglia del patto che apre le sue porte: (1) altre persone nella chiesa possono godere di una sana intimità e relazionalità; (2) si riduce il bisogno di intervento o di consulenza della chiesa perché molte problematiche vengono affrontate in modo organico nella comunità; (3) si esercita una sana pressione sui coniugi affinché il loro sia un matrimonio santo e non si riducano a “vivere come coinquilini”; e (4) segnala visivamente la famiglia di Dio.

Possiamo piangere insieme. Possiamo gioire insieme. Possiamo portare i pesi insieme. Possiamo vivere la vita insieme — perché siamo già insieme. Non possiamo avere “tutto in comune” (Atti 4:32) se non condividendo spazio vitale e tutto il resto con i fratelli e le sorelle in Cristo. Dopotutto un giorno, come sposa di Cristo, avremo tutti un’unica dimora con il nostro Dio. In eterno (Apocalisse 21:3).

Ma Rosaria ci incoraggia ad agire come famiglia di Dio anche quando non viviamo sotto lo stesso tetto. “Al tavolo di casa nostra si siedono molti single della chiesa che non vivono a casa nostra. Vengono da noi, cenano con noi, leggono la Bibbia e pregano insieme a noi, e in questo modo riusciamo a capire dove si trovano [spiritualmente]”. La Scrittura presenta questo stare insieme nel corpo caratterizzato dal riunirsi, pregare, e rompere il pane nelle nostre case “ogni giorno” (Atti 2:42-47). Le nostre case possono e dovrebbero essere aperte per nutrire in modo regolare anime e corpi affamati.

Per il tuo piccolo gruppo

Per avere “un sol cuore e un’anima sola” è necessario impegnarci a ricordare che condividiamo la stessa identità. Quando abbiamo festeggiato il quarto compleanno di mia figlia maggiore, abbiamo organizzato una festa per i bambini e i loro genitori. Vennero quasi tutti i membri del nostro piccolo gruppo, e nessuno di loro aveva figli. Erano tutti single.

Per gran parte dell’esistenza del nostro piccolo gruppo, siamo stati l’unica coppia sposata. I nostri figli sono stati per noi un esempio di come deve essere la famiglia di Dio, accogliendo i nostri fratelli e le nostre sorelle e interagendo con loro quando entrano a casa nostra — dal più giovane sui vent’anni al più vecchio sulla settantina. Per loro, ogni persona ha un nome, un’identità, dei doni e una personalità. Per loro, come dovrebbe essere per noi, abbiamo ogni cosa in comune: Gesù.

Come dovrebbero essere i nostri piccoli gruppi? Rosaria ci indica i Canti dei pellegrinaggi:

Pensiamo a come sarebbe stato fare quel pellegrinaggio a Gerusalemme. E’ un impegno comunitario, e in quella comunità ci sono persone molto piccole e molto vecchie. Ci sono persone che non possono camminare da sole e persone che devono essere trasportate. Ci sono persone che trasportano altre persone. Ci sono amicizie tra persone di età diverse e ogni tipo di differenze, eppure tutti stanno alzando lo sguardo verso Gerusalemme. E questo deve essere il nostro modello per la famiglia di Dio cristiana, una famiglia nella quale tutti stiamo alzando lo sguardo verso questa Nuova Gerusalemme.

Rosaria mette in guardia dai piccoli gruppi omogenei, in modo particolare da quelli divisi in base all’età, al sesso, alla stagione di vita che si sta attraversando, o ai peccati comuni con cui si combatte. “Le donne single non hanno bisogno di stare con altre donne single. Le famiglie giovani non hanno bisogno di stare con altre famiglie giovani”. Perché? Rosaria continua: “I piccoli gruppi organizzati per categoria sociologica indeboliscono seriamente le relazioni tra le differenze in una chiesa, e di conseguenza la nostra capacità di servirci gli uni gli altri”.

Rosaria ci incoraggia a “lasciare posto ad amicizie vere e profonde”. Cristo è la cosa che abbiamo un comune, e noi siamo membra del suo corpo. E quando mostriamo la nostra unità di sangue interagendo nelle nostre differenze, non solo ci serviamo gli uni gli altri, ma diamo al mondo un’immagine della vera comunione e di Colui che la rende possibile.

Idee pratiche per le chiese

Avere “un sol cuore e un’anima sola” deve essere una missione che coinvolge tutta la chiesa. Per Rosaria, coltivare una cultura di famiglia di Dio avviene in modo più naturale nelle chiese più piccole. Ma in quelle più grandi, gli anziani dovranno stabilire come instaurare e nutrire i giusti tipi di relazioni. Questi sono alcuni spunti che Rosaria offre a pastori, anziani e leader di chiesa per crescere nello stile di vita della famiglia di Dio.

1. Metti a disposizione case in cui andare per le vacanze/festività.

Rosaria raccomanda: “Alcune case nella chiesa siano luoghi di riferimento per le vacanze/festività, senza fare domande; senza bisogno di inviti”. Nelle chiese più grandi, questa iniziativa potrebbe richiedere che i leader di chiesa facciano un elenco dei membri disposti ad aprire le porte di casa durante le vacanze/festività per tutto l’anno e chiedere che le persone si iscrivano — una sorta di avvio formale verso un ritmo organico in futuro.

2. Incoraggia i piccoli gruppi a comportarsi come una famiglia.

I piccoli gruppi abbattono i muri delle chiese grandi rendendole case di famiglia. Spesso essi sono i mezzi attraverso i quali sperimentiamo la comunione, soddisfiamo i bisogni all’interno della chiesa, e ideiamo e realizziamo eventi evangelistici nei nostri quartieri e città. Rosaria ci ricorda perché tutti e tre questi aspetti sono necessari:

Chiediamo loro di essere fratelli e sorelle nel Signore. Assicuriamoci che mentre serviamo il Signore insieme, usciamo, e siamo impegnati in conversazioni difficili, abbiamo anche tempo sufficiente per giocare a carte o assemblare un puzzle insieme in sala da pranzo. Facciamo in modo di conoscerci davvero gli uni gli altri a questo livello.

Mettiamo i nostri piani e il nostro tempo ai piedi della croce non solo per amore del ministero verso l’esterno, ma anche per conoscerci meglio tra di noi. Organizziamo serate di giochi, mangiamo i cibi meno preferiti, e rinunciamo all’ora della nanna dei bambini (e alla nostra) per amore della comunione fraterna, come facciamo per amore dello studio della parola di Dio e dell’impegno con il mondo incredulo intorno a noi.

3. Promuovi intimità basata sulla vicinanza.

Per quanto strana possa sembrare la visione di Rosaria per le famiglie della chiesa, tutti noi possiamo fare dei passi in avanti, soprattutto se iniziamo a sognare e pregare con membri di chiesa che vivono vicino a noi. Gran parte di ciò che consiglia presuppone che non si abiti lontano dagli altri. Condividere regolarmente i pasti, edificarsi gli uni gli altri con la parola, svolgere attività ricreative e vivere in modo missionale in comunità richiede solitamente una certa vicinanza.

Un modo pratico per procedere è semplicemente quello di scoprire quali membri della tua chiesa vivono vicino a te. Lo sai?

Famiglia ora e per sempre

La chiesa sta generando solitudine? Forse. In ogni caso, c’è una chiamata per ognuno di noi: attraverso le nostre preghiere fedeli, l’ascolto e l’ubbidienza, le nostre vite e il nostro ministero quotidiano ritraggono la realtà di avere “un sol cuore e un’anima sola” nella chiesa, la vera famiglia di Dio. E per chi di noi pensa che la famiglia di Dio sia una realtà irrealizzabile, Rosaria riassume il percorso da seguire: “Fai ciò che sai fare, e spalanca le tue braccia”.


Monica Geyen è una moglie e una madre di quattro figli. Ha fatto l’avvocato e ha lavorato per InterVarsity, occupandosi del discepolato degli studenti di giurisprudenza a Minneapolis/Saint Paul. Ora scrive e parla su temi legati alla maternità e alla vita missionale.

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