Quattro principi per prendere decisioni difficili sul fine vita

La vita è sacra

In base alla mia esperienza, sono convinta che la maggior parte dei credenti che si trovano di fronte a dilemmi sul fine vita o che stanno riflettendo sulla questione vogliono agire in modo fedele, vogliono onorare Dio, vogliono essere certi di adottare un approccio biblico. Tuttavia, il problema che noto è che la materia è molto sconosciuta e non sanno come affrontarla. In preda all’agitazione, si aggrappano a un principio. Quando guardiamo a quello che tutta la Bibbia insegna sull’opera di Dio nella vita e nella morte e sulla nostra redenzione mediante Cristo, emergono quattro principi fondamentali di bioetica cristiana che possono aiutarci in modo concreto. Attenerci a uno qualunque di questi principi senza considerarli nel loro insieme può condurci in un sentiero pericoloso.

Il primo principio, che è quello a cui le persone pensano quasi subito, è che la nostra vita mortale è sacra. E’ un dono di Dio. Questo ci riporta in Genesi, quando Dio soffiò un alito vitale in Adamo. Da quel momento facciamo parte di una discendenza di creature fatte a sua immagine con una dignità insita in ognuno di noi. I Dieci Comandamenti ci insegnano che dobbiamo rispettare la vita e non uccidere, perché la vita è un dono che viene da lui e perché lo scopo delle nostre vite è quello di servire Dio. Dobbiamo proteggere la vita. Questo è il principio che ci spinge a proteggere i non ancora nati. Ci motiva inoltre a protestare contro il suicidio assistito. E quando pensiamo alle cure di fine vita, la santità della vita dovrebbe indurci a prendere in considerazione di accettare trattamenti che hanno il potenziale di curare.

Dio è sovrano 

Il secondo principio—che viene messo in ombra dal primo e può confondere o sconcertare le persone al punto da non considerarlo del tutto —è che benché siamo chiamati a preservare la vita, in ultima analisi Dio è sovrano sulla nostra vita e sulla nostra morte, e ha l’autorità sui nostri giorni. Quando cerchiamo eroicamente di preservare la vita a ogni costo, ignoriamo che la morte arriva per tutti. E’ inevitabile. Il salario del peccato è la morte.

Quando rifiutiamo questa verità, neghiamo la grande potenza della risurrezione; la morte arriva per tutti noi ma abbiamo una speranza che va oltre la morte. Perciò è importante che accettiamo la morte quando essa si avvicina. Quando la morte diventa inevitabile, capiamo che Dio può fare cooperare tutte le cose—inclusa la nostra morte—al bene di coloro che lo amano.

Cura per i sofferenti 

Il terzo principio è che siamo chiamati ad amarci gli uni gli altri. Siamo chiamati ad amare il nostro prossimo come noi stessi. Siamo chiamati ad amarci gli uni gli altri come Gesù ci ama. Siamo chiamati a praticare la giustizia, amare la misericordia, e camminare umilmente con il nostro Dio. Questo significa che dobbiamo essere sensibili alla sofferenza. Dobbiamo essere empatici e prenderci cura delle persone che soffrono.

Questo è importante nelle cure di fine vita perché gli interventi di rianimazione causano sofferenza. Il massaggio cardiaco — che porta sangue ricco di ossigeno al cervello quando il cuore si ferma—rompe le costole se fatto nel modo corretto. La ventilazione meccanica, che è necessaria per continuare a portare ossigeno al corpo, richiede la sedazione per essere tollerata perché è molto fastidiosa.

Anche dal punto di vista psicologico, i pazienti che sono stati ricoverati in terapia intensiva per un lungo periodo di tempo riportano traumi psicologici. Soffrono di incubi, potenzialmente per anni, o si svegliano nel reparto di rianimazione in stato confusionale, terrorizzati, legati a un letto, senza sapere che cosa sta accadendo e senza poter respirare da soli. Se queste misure servono a preservare la vita, ne vale la pena, ma ci sono casi in cui il processo patologico in atto non è recuperabile, e quando costringiamo le persone a sottoporsi a questo tipo di interventi, stiamo causando un’inutile sofferenza ingiustificata. Stiamo venendo meno alla nostra chiamata a essere empatici. Dio ci comanda di preservare la vita, ma non ci ordina di accanirci in interventi inumani che non danno alcuna speranza di guarigione.

Speranza in Cristo

Il quarto principio (e quello più importante nel riflettere su tali questioni) è che la nostra speranza è in Cristo. Anche se la morte può farci paura, la morte è una fine ma non è la fine. Attraverso la croce, Dio trasforma la morte da evento da temere in ogni sua parte in uno strumento di grazia. Anche nell’esaminare questi temi (per quanto possano spaventarci e scoraggiarci) abbiamo la speranza che la morte non è la fine. La nostra speranza è nell’amore di Dio per noi in Cristo.


Kathryn Butler (MD, Columbia University College of Physicians and Surgeons) è un chirurgo traumatologo specializzato in chirurgia d’urgenza. E’ stata docente al Massachusetts General Hospital e alla Harvard Medical School. Dopo un’esperienza decennale come chirurga, ha lasciato l’attività clinica nel 2016 per insegnare a casa ai suoi figli. Ora scrive per desiringGod.org, Christianity Today, e sul blog di The Gospel Coalition su temi riguardanti la fede e la medicina.

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