Tim Keller spiega il Vangelo

Il Vangelo in tutte le sue forme

Come Dio, il vangelo è uno e più di uno. 

di Tim Keller | postato il 23/5/2008 in Leadershipjournal.net

Il vangelo è stato descritto come uno specchio d’acqua che può essere attraversato da un lattante ma in cui può nuotare anche un elefante. E’ talmente semplice che anche un bambino può capirlo ma è anche così profondo da tenere impegnate le menti più acute. Infatti, nemmeno gli angeli non sono mai stanchi di penetrarlo con i loro sguardi (1 Pietro 1:12). Gli esseri umani non sono angeli, tuttavia, anziché contemplarlo, ci litigano sopra.

Una generazione fa gli evangelici erano concordi sul “semplice vangelo”: (1) Dio ti ha creato e vuole avere una relazione con te, (2) ma il tuo peccato ti separa da Dio. (3) Gesù portò la punizione per i tuoi peccati, (4) perciò se ti ravvedi dai tuoi peccati e metti la tua fiducia in lui per la tua salvezza, sarai perdonato, giustificato ed accettato per grazia, e il suo Spirito dimorerà in te fino a quando morirai e andrai in paradiso.

Oggi questa semplice formulazione è oggetto di almeno due critiche principali. Molti la considerano troppo individualistica, nel senso che la salvezza di Cristo non consiste tanto nel dare felicità al singolo individuo quanto nel portare pace, giustizia e una nuova creazione. Una seconda critica è che non c’è nessun “semplice vangelo” perché “tutto va contestualizzato” e la stessa Bibbia contiene molte presentazioni del vangelo che sono in tensione tra di loro.

Nessun messaggio unico nel vangelo?

Occupiamoci prima della seconda critica. La convinzione secondo cui nella Bibbia non c’è nessuno schema di base del vangelo risale almeno alla scuola esegetica di Tubinga, che sottolineava che il vangelo della giustificazione di Paolo fosse nettamente diverso dal vangelo del regno di Gesù. Nel ventesimo secolo, il professore britannico C.H. Dodd replicò che vi era un messaggio del vangelo di vasto consenso nella Bibbia. Poi, a sua volta, James Dunn sostenne nel suo libro “Unity and Diversity in the New Testament” (1977) che le formulazioni del vangelo nella Bibbia sono così diverse che non è possibile ricavarne un unico schema.

Ai nostri giorni centinaia di siti internet di giovani leader cristiani si lamentano che la vecchia chiesa evangelica ha passato troppo tempo a leggere Romani anziché la dichiarazione di Gesù che “il regno di Dio è vicino”. Ma se vogliamo allinearci alla comprensione del vangelo dei cristiani del primo secolo, penso che dobbiamo stare dalla parte di Dodd e non di Dunn. Paolo insiste molto nel sottolineare che il vangelo che presenta è lo stesso vangelo predicato dagli apostoli di Gerusalemme. “Sia dunque io o siano loro”, dice Paolo riferendosi a Pietro e agli altri, “così noi predichiamo, e così voi avete creduto” (1 Cor. 15:11). Quest’affermazione presume un unico nucleo di contenuto del vangelo.

Un vangelo, molte forme

Dunque, sì, ci dev’essere un solo vangelo, eppure vi sono chiaramente diverse forme nel quale questo unico vangelo può essere espresso. Questo è il modo in cui la Bibbia stessa parla del vangelo, e dovremmo attenerci a questo. Paolo è un esempio. Dopo aver insistito che c’è un solo vangelo (Gal. 1:8), sostiene poi che gli è stato affidato “il vangelo per gli incirconcisi” invece del “vangelo dei circoncisi” (Gal. 2:7).

Quando Paolo parlava ai Greci, affrontava gli idoli della loro cultura (pensiero e filosofia) con la “pazzia” della croce, e successivamente presentava la salvezza di Cristo come la vera sapienza. Quando parlava ai Giudei, affrontava gli idoli della loro cultura (potere e successo) con la “debolezza” della croce, per poi presentare il vangelo come la vera potenza (1 Cor. 1:22-25).

Una della forme del vangelo di Paolo era su misura per persone che credevano nella Bibbia e che pensavano che sarebbero state giustificate per opere nel giorno del giudizio, e l’altra per i pagani. Possiamo distinguere questi due approcci nei discorsi di Paolo nel libro degli Atti, alcuni rivolti ai Giudei e altri ai pagani.

Ci sono altre forme del vangelo. I lettori hanno sempre notato che il linguaggio del regno dei vangeli Sinottici è virtualmente assente  nel vangelo di Giovanni, che di solito parla invece di ricevere la vita eterna. Tuttavia, quando confrontiamo Marco 10:17, 23-34 , Matteo 25:34, 46, e Giovanni 3:5, 6 e 17, osserviamo che “entrare nel regno di Dio” e “ricevere la vita eterna” sono virtualmente la stessa cosa. Se leggiamo Matteo 18:3, Marco 10:15 e Giovanni 3:3, 5 osserviamo che tutti rivelano che la conversione, la nuova nascita, e ricevere il regno di Dio come “un bambino” sono la stessa azione.

Come mai, dunque, questa differenza di vocabolario tra i Sinottici e Giovanni? Come hanno evidenziato molti studiosi, Giovanni pone l’enfasi sugli aspetti spirituali individuali e interiori di essere nel regno di Dio. Egli si sforza di mostrare che non è fondamentalmente un ordine socio-politico terreno (Giovanni 18:36). D’altra parte, quando i Sinottici parlano del regno, essi presentano i veri cambiamenti sociali e di comportamento che il vangelo reca. Osserviamo in Giovanni e nei Sinottici altre due forme del vangelo, una che enfatizza l’aspetto individuale e l’altra l’aspetto sociale della nostra salvezza.

Allora cos’è il semplice vangelo?

Simon Gathercole sintetizza uno schema di tre punti che sia Paolo sia gli autori Sinottici hanno in comune. (Si veda “The Gospel of Paul and the Gospel of the Kingdom” in God’s Power to Save, ed. Chris Green Apollos/Inter-Varsity Press, UK, 2006). Egli scrive che la buona notizia di Paolo era, in primo luogo, che Gesù era il promesso Re Messianico e Figlio di Dio venuto in terra come servitore in forma umana. (Rom. 1:3-4; Filippesi 2:4)

Secondo, attraverso la sua morte e risurrezione, Gesù compì l’espiazione per i nostri peccati e garantì la nostra giustificazione per grazia, non per le nostre opere (1 Cor. 15:3). Terzo, sulla croce Gesù spezzò il dominio del peccato e del male su di noi (Col. 2:13-15) e al suo ritorno egli finirà ciò che ha iniziato attraverso il rinnovamento di tutta la creazione materiale e la risurrezione dei nostri corpi (Rom 8:18).

Gathercole illustra poi questi stessi tre aspetti negli insegnamenti dei Sinottici che Gesù, il Messia, è il divino Figlio di Dio (Marco 1:1) che morì come prezzo di riscatto per i molti (Marco 10:45), che ha conquistato il presente secolo malvagio con il suo peccato e il male (Marco 1:14-2:10) e che ritornerà per rinnovare il mondo materiale (Matt. 19:28).

Se dovessi formulare questo schema in un’unica frase, direi così: attraverso la persona e l’opera di Gesù Cristo, Dio compie pienamente la salvezza per noi, salvandoci dal giudizio del peccato e mettendoci in comunione con lui, per poi ristabilire la creazione nella quale godere la nostra nuova vita insieme a lui per sempre.

Uno di questi elementi era al centro dei vecchi messaggi del vangelo, ossia che la salvezza è per grazia e non per opere. Era l’ultimo elemento a mancare di solito, cioè che la grazia ristabilisce la natura, come disse il teologo Olandese Herman Bavinck. Quando il terzo elemento “escatologico” è omesso, i cristiani ricavano l’impressione che questo mondo non è più così importante. In teoria, comprendere bene tutti i punti di questo schema dovrebbe fare in modo che i cristiani si impegnino sia nell’evangelizzazione sia nel servire il prossimo e ad adoperarsi per la pace e la giustizia nel mondo.

Percepire la tensione

Nella mia esperienza, questi aspetti individuali e collettivi del vangelo non convivono armoniosamente nella nostra predicazione e nelle nostre chiese. In realtà, molti comunicatori oggi le mettono deliberatamente in conflitto tra di loro.

Quelli che insistono sulle versioni del vangelo del regno definiscono il peccato quasi esclusivamente in termini collettivi, come il razzismo, il materialismo e il militarismo, quali violazioni della shalom di Dio. Spesso ciò finisce con l’oscurare il fatto che il peccato è un’offesa contro Dio stesso, e di solito manca qualunque enfasi sull’ira di Dio. Inoltre, si dà l’impressione che il vangelo sia “Dio sta operando per la giustizia e la pace nel mondo, e anche tu puoi farlo”.

Mentre è vero che il nuovo ordine sociale a venire è “buona notizia” per tutti quelli che soffrono, parlare del vangelo in termini di praticare la giustizia oscura il fatto che la salvezza è solo per grazia, non per opere. E non è questo il modo in cui la parola vangelo è utilizzata nel Nuovo Testamento.

Ho studiato di recente tutti i posti nella Bibbia in Greco dove si utilizzano forme della parola vangelo, e rimasi impressionato nel notare quanto spesso essa è utilizzata per denotare non un modo di vivere, non quello che facciamo, ma una proclamazione verbale di ciò che Gesù ha fatto e di come gli individui si riconciliano con Dio. Spesso chi parla della buona notizia principalmente in termini di portare pace e giustizia lo chiama “il vangelo del regno”. Ma ricevere il regno come un bambino (Mt. 18:3) e credere nel nome di Cristo e diventare figli di Dio (Gv. 1:12-13) è la stessa cosa, essendo il modo in cui uno diventa cristiano (Gv. 3:3, 5).

Detto ciò, devo ammettere che molti di noi che ci rallegriamo nel classico vangelo della “sola grazia per sola fede in Cristo solo” ignoriamo in gran parte le implicazioni escatologiche del vangelo.

Testi come Luca 4:18 e Luca 6:20-35 mostrano le implicazioni del vangelo, vale a dire che gli afflitti, i non apprezzati e gli oppressi hanno ora un posto centrale nell’economia della comunità cristiana, mentre i potenti e quelli che prosperano sono umiliati. Paolo dice a Pietro che atteggiamenti di superiorità razziale e culturale non sono secondo il vangelo della grazia (Gal 2:14). La generosità verso i poveri sarà un segno distintivo di coloro che professano il vangelo (2 Cor. 9:13).

In Romani 2:16 Paolo dice che il ritorno di Cristo per giudicare la terra faceva parte del suo vangelo, e se leggi il Salmo 96:10 capirai perché. La terra sarà rinnovata e perfino gli alberi canteranno di gioia. E se gli alberi potranno ballare e cantare nel regno di Colui che ha il potere di rinnovare l’intero cosmo, cosa saremo in grado di fare noi?

Se questo rinnovamento finale del mondo materiale faceva parte della buona notizia proclamata da Paolo, non dovrebbe stupirci il fatto che Gesù guariva e sfamava le genti mentre predicava il vangelo, in quanto erano segni e assaggi di questo regno futuro (Mt. 9:35).

Quando capiamo che un giorno Gesù distruggerà la fame, la malattia, la povertà, l’ingiustizia e la morte stessa, il cristianesimo diventa ciò che C. S. Lewis definiva “una religione da battaglia” quando dobbiamo affrontare una baraccopoli o un reparto oncologico. Questa piena versione del vangelo ci ricorda che Dio creò la sfera materiale e quella spirituale, e che redimerà entrambe.

Egli vuole mettere a posto cose del mondo materiale che adesso sono imperfette. Alcuni eludono l’importanza di adoperarsi per la giustizia e la pace riferendosi a 2 Pietro 3:10-12, che sembra dire che questo mondo materiale sarà completamente bruciato alla risurrezione finale. Ma non è questo ciò che successe al corpo di Gesù, che portava ancora i segni dei chiodi, e Doug Moo sostiene la causa della trasformazione del mondo, e non della sua sostituzione, nel suo saggio “Nature and the New Creation: NT Eschatology and the Environment” disponibile on line.

Predicare le forme

A questo punto vi aspetterete che io vi spieghi come integrare perfettamente i vari aspetti del vangelo nella nostra predicazione. Non posso perché nemmeno io ci sono ancora riuscito. Ma ecco come ci sto provando:

1. Non inserire tutti i punti del vangelo in un’unica presentazione del vangelo. Penso sia istruttivo il fatto che gli stessi autori del Nuovo Testamento raramente, se non mai, inseriscono tutti gli aspetti del vangelo nella stessa misura quando parlano del vangelo. Quando si studiano gli annunci del vangelo di Paolo nel libro degli Atti, si rimane colpiti da quanto non viene sempre detto.

Egli insiste sempre su alcuni punti piuttosto che altri nel tentativo di collegarsi alle narrative culturali di riferimento dei suoi uditori. E’ pressoché impossibile coprire tutte le basi del vangelo con un non credente senza che i suoi occhi si perdano nel vuoto.

Alcune parti lo coinvolgeranno più di altre e, per cominciare, un comunicatore dovrebbe partire da queste. Naturalmente alla fine dovrai presentare tutti gli aspetti del pieno vangelo in tutte le fasi dell’evangelizzazione e del discepolato. Ma non è necessario dire tutto ogni volta.

2. Utilizzo sia un vangelo per i “circoncisi” sia per gli “incirconcisi”. Proprio come Paolo parlava di un vangelo per i più religiosi (i “circoncisi”) e per i pagani, allo stesso modo anch’io ho constatato che il mio pubblico a Manhattan include sia persone con uno sfondo moralista-religioso sia persone che hanno una visione del mondo postmoderna e pluralista.

Ci sono persone di altre religioni (Ebraismo, Islam), persone di solida tradizione Cattolica, come pure persone cresciute in chiese Protestanti conservatrici. Le persone cresciute in ambienti religiosi sono in grado di capire il concetto di peccato inteso come violazione della legge morale di Dio. Questa legge va loro spiegata in modo che essi capiscano di averla violata. In questo contesto, Cristo e la sua salvezza possono essere presentati come l’unica speranza di perdono dalla colpa. Questo, che è il vangelo tradizionale degli evangelici dell’ultima generazione, è un “vangelo per i circoncisi”.

Ad ogni modo, Manhattan è anche piena di ascoltatori postmoderni che considerano ogni affermazione sulla moralità come qualcosa di culturalmente relativo e frutto di una costruzione sociale. Se provi a farli sentire colpevoli di concupiscenza sessuale, ti diranno semplicemente: “Tu hai i tuoi modelli di riferimento, e io ho i miei”. Se rispondi con una diatriba sui pericoli del relativismo, chi ti ascolta si sentirà solamente rimproverato e prenderà le distanze da te. Naturalmente, le persone postmoderne ad un certo punto vanno sfidate sulla loro visione inconsistente della verità, ma si può presentare loro il vangelo in modo credibile e convincente anche prima di addentrarsi in queste questioni di tipo apologetico.

Io prendo una pagina del libro di Kierkegaard’s La malattia per la morte e definisco il peccato come il costruire la tua identità, il tuo valore e la tua felicità su qualsiasi cosa che non sia Dio. Mi servo cioè  della definizione biblica di peccato come idolatria. Ciò pone l’enfasi non tanto sul “commettere delle brutte azioni” ma sul “fare di cose buone delle cose supreme”.

Invece di dire loro che stanno peccando perché dormono con la loro fidanzata o fidanzato, dico che stanno peccando perché stanno cercando nella loro relazione sentimentale il significato alle loro vite, la loro giustificazione e salvezza, cose che dovrebbero cercare solo da Dio. Questa idolatria causa ansietà, ossessività, invidia e risentimento. Ho scoperto che quando si descrive la loro vita in termini di idolatria, le persone postmoderne non oppongono molta resistenza. In seguito Cristo e la sua salvezza possono essere presentate (a questo punto) non tanto come le loro sola speranza per il perdono, ma come la loro sola speranza di libertà. Questo è il mio “vangelo per gli incirconcisi”.

3. Utilizzo sia un vangelo del “regno” sia un vangelo “della vita eterna”. Noto che molti giovani tra il mio pubblico si trovano a dover fare delle scelte in un mondo di infinite scelte di consumo e sono confusi riguardo alla propria identità in una cultura dove si decide da soli chi essere e come valorizzarsi. Queste sono persone con le quali ci si può relazionare bene attraverso la presentazione più focalizzata sull’individuo del vangelo come dono gratuito della grazia e non di opere. Questo assomiglia molto al “vangelo della vita eterna” di Giovanni. Ho scoperto comunque che molte persone estremamente secolarizzate sopra i 40 non si raggiungono facilmente attraverso l’enfasi sui problemi personali. Molti di loro dicono: “me la cavo bene, grazie mille”. Essi sono molto più interessati ai problemi relativi ai conflitti mondiali, al razzismo, alla povertà e all’ingiustizia. E rispondono bene a un “vangelo del regno” come quello dei Sinottici.

Invece di andare su una delle epistole e parlare del vangelo in termini di Dio, peccato, Cristo e fede, faccio notare l’arco della storia della Bibbia e parlo del vangelo in termini di creazione, caduta, redenzione e rinnovamento. Una volta avevamo il mondo che tutti vorremmo, un mondo di pace e di giustizia, senza morte, malattia o conflitto. Ma rifiutando Dio abbiamo perduto quel mondo. Il nostro peccato ha liberato nel mondo le forze del male e della distruzione e così ora “tutto cade a pezzi” e tutto è caratterizzato dalla disintegrazione fisica, sociale e personale. Ma Gesù Cristo venne nel mondo, morì come vittima di ingiustizia e come nostro sostituto, portando su di se il castigo per il nostro peccato. Ciò gli permetterà un giorno di giudicare il mondo e distruggere la morte e il male senza distruggere noi.

4. Utilizzo tutti i punti del vangelo e lascio che ciascun gruppo mi senta predicare agli altri. Nessuna forma del vangelo dà la stessa enfasi a tutti i vari aspetti del pieno vangelo. Perciò se predichi solo una forma, corri l’enorme pericolo di fornire alla tua gente una dieta sbilanciata di verità evangelica. Qual è l’alternativa? Non predicare solo una forma del vangelo. Ciò non è comunque vero per vari testi della Bibbia. Se predichi in modo espositivo, brani diversi comunicheranno diverse forme dell’unico vangelo. Predica su diversi testi e la tua gente ascolterà tutti i punti.

Questo non confonderà forse le persone? No, le rende elastiche. Quando un gruppo, diciamo i postmoderni, sente parlare in modo penetrante del peccato in termini di idolatria, questo apre le loro menti al concetto di peccato in quanto offesa contro Dio. Il peccato come affronto personale a un Dio santo e perfetto inizia ad avere più senso, e quando essi ascoltano ciò presentato in un’altra forma del vangelo, assume credibilità.

Quando le persone più tradizionaliste con una comprensione matura della colpa morale imparano l’espiazione sostitutiva e la giustificazione forense, sono consolate. Queste dottrine classiche hanno implicazioni profonde nei rapporti tra razze e nell’amore per i poveri, poiché distruggono ogni orgoglio e autogiustificazione.

Quando le persone più liberali sentono parlare del regno di Dio come restaurazione del mondo, si aprono alla signoria di Cristo, la quale richiede da loro obbedienza nelle loro vite personali. In breve, ogni forma del vangelo, una volta colpito nel segno, apre una persona agli altri punti del vangelo espressi più chiaramente in altre forme.

Oggi in molti dubitano che ci sia un solo vangelo. Si sentono perciò legittimati a ignorare il vangelo dell’espiazione e della giustificazione. Ad altri non piace ammettere che quell’unico vangelo ha diverse forme. Questo puzza troppo di “contestualizzazione”, una parola che a loro non piace. Si attaccano a una sola presentazione che spesso è mono-dimensionale. Nessuno di questi approcci è fedele al materiale biblico, né efficace nel ministero concreto, come quello che comprende che la Bibbia presenta un solo vangelo in diverse forme.


Tim Keller è pastore della Redeemer Presbyterian Church a Manhattan, New York.

Copyright © 2008 dell’autore o di Christianity Today International/Leadership Journal.

Tim Keller